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Alcesti

«Alcesti – una donna»: il mito di Euripide arriva alle MTM

Alle Manifatture Teatrali Milanesi viene riscritto il mito euripideo, in scena fino al 28 novembre

3 minuti di lettura

In scena dal 18 al 28 novembre, Alcesti – una donna riporta il mito di Euripide sul palcoscenico del Teatro Litta, alle Manifatture Teatrali Milanesi. Scritto e diretto da Filippo Renda, con Beppe Salmetti, Irene Serini, Luca Oldani e lo stesso Renda.

Il mito euripideo di Alcesti

L’opera di Euripide risale al 438 a.C. e narra le vicende di Admeto e sua moglie Alcesti. Admeto, re di Tessaglia, ottiene dal dio Apollo la possibilità di sfuggire alla morte, a patto che qualcuno fosse disposto a sacrificarsi per lui. Il padre, gli amici, il suo stesso popolo, tutti rifiutano il sacrificio. Tutti tranne Alcesti, sua moglie. Accetta la morte per salvare il marito, ma gli impone una sola condizione. Non si sarebbe mai risposato, non avrebbe mai accettato un’altra donna al suo fianco. Admeto promette e Alcesti muore.

Durante il tempo di lutto, Eracle arriva in città e domanda ospitalità. Vede il lutto cittadino chiede ad Admeto chi sia morto, ma il re non rivela la vera identità della defunta. Prima dei funerali, il padre di Admeto, Ferete, arriva a palazzo e comincia una discussione sul figlio. Ferete accusa Admeto di aver spinto la moglie a morire per lui, e Admeto rinfaccia al padre la codardia di non essersi offerto al posto di Alcesti.

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Eracle, intanto, preso dal vino e l’ubriacatezza, obbliga un servo a rivelargli chi sia davvero morto. Venuto a sapere dell’inganno, si adopera per riportare in vita la donna. Riesce nell’impresa, ma prima vuole verificare se Admeto avrebbe mantenuto la promessa. Fa velare Alcesti e la presenta come un bottino di alcuni giochi pubblici e se Admeto avrebbe voluto, poteva tenerla con sé. Al rifiuto continuo del re, Eracle svela la vera identità della donna, riportandola al marito.

La riscrittura del mito

Lo spettacolo riproposto alle MTM ripercorre – nel tempo molto ristretto dello spettacolo – i punti cardine dell’opera originale. Di fatto, sono stati mantenuti i personaggi principali e l’ambientazione greca: ritornano gli accenni ai lutti antichi, alla paura della tirannia, l’importanza del pensiero dei cittadini riguardo al loro re. Eppure, si è cercato di traslare la storia, attraverso i dialoghi e i costumi, nel mondo moderno. Si riprendono i tratti del teatro classico, del dramma moderno alla Čechov, al contemporaneo teatro di narrazione: eppure sembra tutto stridere, mentre si sente parlare di antichi rituali e viaggi nell’Ade con abiti moderni e dialoghi a tratti semplicistici.

È evidente la volontà di riproporre un mito antico, cercando di renderlo fruibile anche agli spettatori di oggi, ma a volte si rischia di mischiare troppi elementi eterogenei insieme. Il mito può – e a volte deve – essere riproposto con diverse chiavi di lettura, ma il mito dovrebbe sempre colpire lo spettatore. In questo caso, la recitazione ancora acerba e il poco studio dei personaggi – dovuto anche alla brevità dello spettacolo – non permette l’empatia che il mito di Alcesti dona. La riscrittura presentata appare come un embrione di quella che avrebbe potuto essere la sceneggiatura completa.

Colpisce ciò che lo spettatore si ritrova una volta entrato in sala: una luce rossa, che richiama il sangue versato da Alcesti, un sussurro che piano piano aumenta come una preghiera nei confronti della morta, una scenografia scura, come se fosse già a lutto. Eppure, il simbolismo finisce qui, rimanendo rilegato ai primi minuti di spettacolo.

L’attaccamento alla vita e lo studio dei personaggi

È interessante come si voglia focalizzare l’attenzione sull’attaccamento alla vita, di cui Ferete si fa forte portavoce. Eppure, Ferete è presente in una sola scena, in cui accusa unicamente il figlio di aver portato Alcesti alla morte e del fatto che lui voglia continuare a vivere. Alcesti, al ritorno dall’Ade, non potrebbe ancora parlare, ma in questo spettacolo le viene ridata voce: con un «sarò felice» ritorna tra le braccia del marito. Un’emozione troppo debole e indecisa riguardo alla sua rinascita, che invece dovrebbe essere motivo di gioia e di profondo attaccamento alla vita. Eracle, presentato come eroe che rifiuta il suo status semidivino, prende le sue decisioni troppo velocemente, in un susseguirsi di scene-azioni che non portano ad uno studio del personaggio ma solo ad un avanzamento di trama.

Il sottotitolo dello spettacolo – «Una donna» – doveva indurci a comprendere pienamente la sua personalità. Eppure la ritroviamo in balia della richiesta di sacrificio da parte del marito. Si erige per amor suo ma rimane sola in un mondo di uomini, senza che ci venga spiegato nulla in profondità.

Sarebbe stato interessante osservare maggiormente il rapporto tra Admeto e Ferete, questa lotta tra padre e figlio. Comprendere come Admeto sia arrivato a dover sacrificare qualcuno – dato che in questo spettacolo non è presente il dio Apollo – per salvare la sua vita. Oppure sviscerare i motivi che portano Alcesti al sacrificio, per risanare il suo stesso peccato, non presente nella tragedia euripidea.

Insomma… sarebbe bastato spiegare ciò che porta i personaggi a compiere le loro azioni e le conseguenze a cui esse portano, mostrando al pubblico i loro pensieri e i perché, non semplicemente un susseguirsi di azioni e semplici spiegazioni.

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Greta Mezzalira

Classe 1995, laureata in Filologia Moderna. Innamorata del teatro fin dalla prima visione di "Sogno di una notte di mezza estate" durante una gita scolastica. Amante di musical e di letteratura.

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