Ridere e piangere, insieme
Il comico è associato imprescindibilmente al riso, come se per descrivere qualcosa bastasse illustrarne gli effetti: proprio l’effettività della risata non lascia spazio a dubbi, si rafforza da sé e ribadisce anche in maniera sguaiata la natura dell’accadimento, sottolineandone la particolare vis appunto comica. Ridere è l’immediata risposta a un avvertimento.
Dal particolare che sollecita la nostra sensibilità, sembra legittimo pretenderne una universalità: è strano ed estraniante ritrovarsi a ridere da soli, la risata è destinata a spegnersi se altre persone nella medesima situazione non rispondono allo stesso modo. Impossibile ridere tra sé, nel caso accadesse probabilmente la risata sarebbe suscitata da un ricordo, un rimando a un contesto di ilarità precedentemente vissuto.
Il riso, quando condiviso, è difficilmente circoscrivibile a una causa scatenante: non sempre una medesima situazione suscita un effetto comico. Naturalmente la sensibilità di ognuno è differente e diversamente esposta agli avvenimenti, ma nonostante queste considerazioni risulta difficile definire ciò che suscita il riso.
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Oltre il limite
Si scoppia a ridere, cosi come si scoppia a piangere. L’involontarietà di queste due risposte prettamente fisiche a situazioni stimolanti, seppur sotto aspetti diversi, fa intuire un fluire libero: il riso non è definibile perché nasce proprio dalla frantumazione di una delimitazione, nella risata come nella lacrima ci si lascia andare.
Ridere e piangere sono più simili di quanto appaia di primo acchito: suscitati dall’infrangersi del limite, segnano il predominio del corpo sull’intelletto. Smettere di ridere e di piangere implica uno sforzo mentale di alta concentrazione, occorre ristabilire un confine precedentemente oltrepassato. Il limite imposto dal raziocinio si può infrangere frammentandosi infinitamente oppure può sprofondare inabissandosi.
Quando una situazione non è chiara – se per chiarezza si può intendere una relazione coerente tra sensi – in preda alla molteplicità di punti cui è possibile agganciarsi, il riso diviene la risposta a un’inibizione del comportamento, spaesato e incapace di reagire, di fronte a un non-sense, un’ambiguità. D’altro canto l’inibizione può derivare dalla soppressione totale della relatività dell’esistenza: quando manca qualsiasi riferimento il pianto tragico prende il sopravvento.
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Il limite del riso, il riso al limite
Situati al limite dell’intelligenza umana, riso e pianto la caratterizzano per imprevedibilità e brillantezza, rendendone i confini malleabili e dunque fluidi, vivi: implicano una consapevolezza di sé e capacità di prendere un distacco e reagire all’imprevedibile.
Ricreano lo spazio dell’umano e forse per questo si sono da sempre creati nello spazio dell’umano per l’umano: il teatro, come situazione topica e tipica del luogo sconfinato delle passione e delle azioni umane che cerca uno spazio per poterle studiare a approfondire.
Commedia e tragedia non esistono come universali assoluti, bensì si calano sempre nella complessità personale, oscillando tra le situazioni, donando una particolare coloritura e lucentezza di cui solo uno sguardo acuto può accorgersene.
Bella figura
Il testo di Yasmine Reza, nella brillante traduzione italiana di Monica Capuani è l’occasione per riflettere sulla natura cangiante dell’animo umano, in scena grazie alla regia di Roberto Andò con Bella Figura, al Teatro Carcano dal 18 al 28 ottobre.
Attraverso un irriverente intreccio situazionale le relazioni interpersonali si complicano acutizzandosi. I cinque protagonisti di Bella figura Anna Foglietta, Paolo Calabresi, Anna Ferzetti, David Sebasti e Simona Marchin si destreggiano abilmente nelle forme vuote dei rispettivi ruoli sociali di amanti, padri, mariti, mariti e mogli per riuscirne con elegante impertinenza: nessuno può autolimitarsi nel ruolo assegnatogli.
Ridere consapevolmente: l’ironia
I personaggi si mantengono in un equilibro perfetto perché dinamico tra realtà e finzione, così che la pièce diventi l’occasione per rivelare sfumature inaspettate del carattere umano, mai caratteristico fino in fondo di ciascuno.
La sagace trivialità dell’ambientazione di Bella figura si inquadra ad hoc nello scenario ideato da Gianni Carluccio: gli attori agiscono le proprie abitudini senza scadere nel superficiale ma approfondendo con spirito e vivacità le dinamiche inaspettate che si creano. Ogni dialogo diviene pretesto per un monologo interiore con il proprio io per rivelarsi divergenti da un’apparenza che rischia di inibire desideri e pensieri più reconditi.
La comicità è l’oscillazione che smuove la banalità, il già visto o già detto attraverso un’intelligenza verace che pungola continuamente lo spettatore, disinibito rispetto la pluralità di sensazioni e riflessioni suscitate perché in grado di osservarle attraverso la lente deformante del teatro.
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Concentrandosi sul particolare per restituire uno sguardo d’insieme che riesce a tenere conto delle note più impercettibili, l’ironia è la giusta distanza che fa ridere e prendere coscienza, creando un avvicinamento graduale attento e partecipe.