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Aiace di Ghiannis Ritsos. Courtesy Graziano Piazza

Nell’Aiace di Ritsos emerge la poetica dell’assenza

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Che significato ha il mito antico oggi? Una risposta potente l’ha data il poeta greco Ghiannis Ritsos (1909-1990), un gigante del Novecento che l’Italia ha imparato ad amare grazie alle traduzioni di Nicola Crocetti. Ritsos ha “sentito” nelle sue fibre come pochi altri la complessità della Grecia: la bellezza abbagliante, la generosa semplicità del popolo, la ferocia della persecuzione, l’afflato incoercibile della libertà, le piccole cose ordinarie che trasudano mistero e miracolo. E poi il mito, che ha esplorato con una straordinaria carica di novità nella raccolta Quarta Dimensione: poemetti lirici configurati come monologhi teatrali, con prologo ed epilogo. I protagonisti del mito, soprattutto i guerrieri e le donne del ciclo troiano, scendono dal piedistallo dell’archetipo imbalsamato e parlano all’oggi. Si è detto che il mito per Ritsos è recinto di libertà, maschera per aggirare la censura, ma è senza dubbio anche urgenza espressiva per un dialogo identitario con le proprie radici esistenziali e poetiche. Anticipando tendenze postmoderne che invitano ad attraversare codici e generi letterari, Ritsos inaugura negli anni ’60-’70 un viaggio dentro la trasparenza della “quarta dimensione”, dove cioè esplodono i confini tra spazio e tempo, in una liquidità osmotica che confonde i piani per far brillare schegge di pura poesia. Il lettore si abbandona al flusso dei versi, lucidissimi, e riscopre che il mito è contiguo all’oggi e intriso di realtà.

L’esito è potentissimo. In Grecia la trasposizione teatrale dei poemetti è prassi ormai consolidata, e anche in Italia negli ultimi anni l’attenzione di registi sensibili e attori coraggiosi si è volta a Ritsos, con esiti di rilievo.

Ghiannis Ritsos. Fonte: www.teatrodue.org

Fino al 2 aprile presso il nuovo PACTA SALONE di via Dini a Milano va in scena l’Aiace, occasione rara per i palchi nostrani. Il regista Graziano Piazza lo ha già presentato anche nella suggestiva cornice di spazi aperti (Segesta, Terni) e presto sarà in tournée estiva: in effetti il monologo ha un respiro che si affaccia sulla natura. Questa “apertura” è rimasta anche nella messinscena milanese, favorita dalla configurazione della sala, priva delle barriere del palcoscenico. Il protagonista ci parlerà da pari a pari.

Al centro della scena, disseminata di rami secchi e foglie, una sedia, su cui è gettato un abito bianco, forse macchiato di sangue. Una dialettica di vuoti: la sedia, l’abito. Dov’è il famoso eroe, che abbiamo conosciuto da Omero e da Sofocle? Dove il suo aitante corpo virile? Si comincia a delineare una poetica dell’assenza. Il regista ha infatti scelto un punto di vista particolare. Nel Prologo Ritsos accenna a Tecmessa, la moglie del grande eroe Aiace, che assiste muta e impotente al dramma della sua follia: Piazza elimina il prologo introduttivo e carica l’attenzione proprio su di lei. All’improvviso, dal buio, alle spalle degli spettatori, avanza ieratica Viola Graziosi: donna, proiezione della memoria, fantasma simbolico? Emerge dallo spazio che condivide con noi, dal ruolo cioè di spettatrice, ma invece di essere predica luttuosa che racconta in terza persona il suo dolore, ecco che per noi “si fa” Aiace. Il regista ha spiegato che la donna è oggi forse l’unica in grado di “contenere” il mito, ecco perché la storia di Aiace è affidata alla freschezza femminile della Graziosi, impegnata in una grande prova (e lo spettacolo è inserito nella rassegna Donne Teatro Diritti).

Aiace di Ghiannis Ritsos. Fonte: milano.carpediem.cd

L’effetto è straniante, ma vincente: questa presenza femminile chiamata a colmare il “pieno” della corporeità eroica, saprà modulare le euforie e le cadute del tormentato eroe, che esplode in aspre denunce contro gli avidi Atridi e la vanità della guerra, ma si abbandona anche a delicate parentesi meditative e soffuse di ricordi.

Tutto sembra partire da una mosca, simbolo forse del ronzio di una quotidianità immobile, segno sonoro del ritorno alla realtà, dopo la notte di follia in cui Aiace ha fatto strage di armenti, pensando di sterminare i compagni da cui si è sentito raggirato. Ma che cos’è la normalità? Il ronzio di una mosca, il clangore del grande scudo su cui forse qualcuno è inciampato, i «piccoli oggetti tangibili» che sembrano zavorra ai nostri sogni ideali, ma sono ciò che resta quando tutto svanisce. Aiace racconta per immagini lo stordimento della notte: è stato come il gioco della moscacieca, quando nella vertigine, al buio, si perdono i punti di riferimento e si cerca di indovinare il mondo.

Aiace di Ghiannis Ritsos. Fonte: tuttoteatro.blogspot.it

Aiace è colui che ha tentato di opporsi ai raggiri dei potenti e alla furbizia di Odisseo, è il giusto defraudato e lasciato solo. Mentre sprofonda nell’introspezione, Aiace-Graziosi cammina per la scena che, tra ombre e riflessi, si muta nella riva del mare. Si ode lo sciabordio dell’acqua placida che si rompe attorno a un ostacolo vicino al bagnasciuga, e intanto Aiace parla della catasta dei guerrieri uccisi, invidiabili perché conoscono «la mollezza del compiuto e dell’inesistente». I morti, partiti per l’altra sponda, ritornano fra noi: si specchiano nella vetrina impolverata del panettiere, compiono gesti calmi, «coi loro tempi lenti, duraturi. Inespugnabili». Loro sì, conoscono il senso delle cose.

Una scenografia sonora (Arturo Annecchino) accompagna i momenti-clou della consapevolezza di Aiace, finché si attua una sorta di passaggio di testimone: solenne, la donna si avvia, per lasciare a una voce off maschile (lo stesso Piazza) l’ultima parte del poemetto. Uno scarto che avviene senza scosse, e quasi per necessità, perché lo spazio scenico ora si “riempie” della voce dell’Assenza, attraverso immagini poetiche di estrema bellezza. Una vecchia è intenta a infilare perle per una collana che offrirà alla donna del pozzo. Allo stesso modo, rivela Aiace, dentro ognuno di noi c’è una bella donna annegata, che non vuole morire. Forse è l’immagine della speranza, che si riversa delicata su un Aiace che affronta il suicidio con serenità, perché ha ritrovato se stesso e il senso dell’esistenza. Spogliatosi del manto di eroe, è uomo, capace di vedere nel pozzo della propria anima. Forse la collana allora è la poesia, che ci permette di ritrovare dentro di noi il mito.

 

Aiace
di Ghiannis Ritsos
da Quarta Dimensione, traduzione di Nicola Crocetti
regia di Graziano Piazza
con Viola Graziosi
Produzione “Il Carro dell’Orsa”, Roma
PACTA SALONE, via Ulisse Dini 7

28 marzo – 2 aprile 2017

 

Gilda Tentorio

Grecia e teatro riempiono la mia vita e i miei studi.
Sono spazi fisici e dell'anima dove amo sempre tornare.

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