«Era amore…o forse invidia»
La parvenza dei sentimenti li colloca spesso distinti e distanti gli uni dagli altri, stereotipandoli senza riuscire a cogliere quella sfumatura che solo un pensiero lucido può riconoscere come facenti parti dell’unica in quanto così variopinta natura umana.
Ad esempio, l’irascibile invidia e lo spasmodico amore potrebbero contaminarsi vicendevolmente in quanto per lo più intesi rivolti a un Altro cui si brama.
Quando l’Amore incontra il possesso sia come presenza che come assenza può facilmente tramutarsi in uno sguardo avverso, contrario, invidioso. Il punto nevralgico del possedere si configura come coagulo contraddittorio che rifiuta ciò che non può avere pur continuando a desiderarlo intensamente.
La rappresentazione come introspezione
Riuscire a discernere le passioni umane è un’abilità difficilmente esercitabile nel momento stesso in cui si è affetti dai sentimenti, risulta congeniale rappresentarli per figurarli al meglio: così la duplice rappresentazione in atto a teatro consente una raffigurazione a profondità radicale del sentimento attraverso le immagini e le parole.
Così unificando e semplificando le azioni effettive attraverso una riduzione spazio temporale nel luogo e nella durata del dramma è possibile enucleare il pathos nella sua forma più pura, ovvero il personaggio, per rendere effettivo un possibile conflitto in atto nel cuore dell’Uomo.
After Miss Julie al Teatro Frano Parenti dall’11 al 23 dicembre sperimenta la tragedia sublimandone le passioni implicate. Lo spettacolo è il primo allestimento italiano del testo omonimo di Patrick Marber, riscrittura del classico La signorina Giulia di August Strindberg qui in una produzione Teatro Franco Parenti.
Il trittico amoroso delle contraddizioni
Una triangolazione equilatera di emotività contrastanti si delinea tra i personaggi, forme perfette dell’Amore, nelle sue declinazioni erotiche, nostalgiche, affettuose e iraconde. Gli attori consentono una trasmutazione perfetta dal pensiero del sentimento alla sua realizzazione nell’irrealtà della scena.
Nella cucina di un’antica villa alle porte della città meneghina Gabriella Pession, Lino Guanciale e Roberta Lidia De Stefano intrecciano con costante audacia e sincera emotività la trama di una vicenda sentimentale a tal punto privata da diventare universalmente esemplare.
La regia di Giampiero Solari adopera la tensione tra classi sociali e il desiderio di autodeterminazione all’indomani della Liberazione per l’occupazione nazi-fascista sono il combustibile e il comburente occasionale di un’esplosione amorosa vivace e irriverente.
L’universalità della tragedia
La particolarità del carattere di ogni personaggio diviene la trasposizione artistica dell’Ideale dell’Amore. Il tradimento, la fedeltà, la dedizione mutano costantemente eliminando i contorni netti delle definizioni cui si è soliti affidarsi per cogliere il lato affettivo del comportamento razionale.
Verità e menzogna confluiscono nel divenire dell’Azione, un progresso fittizio di un’evoluzione inevitabilmente -poiché consapevolmente- tragica. La tragedia si consuma mantenendosi vivida nella corporeità elegante e sensuale della Scena.
Gli interrogativi si sciolgono soltanto nello stupore dello spettatore, meravigliato dalla fruizione di un’esperienza estetica che consente contemporaneamente una presa di distanza grazie all’osservazione e un pieno coinvolgimento nella compartecipazione compassionevole in atto.