Nel mese di maggio 2022 in Afghanistan è stato approvato un decreto sull’obbligo dell’uso dello Hijab per tutte le donne. Il Chador e l’Hijab nero, dicono i talebani, sono le uniche due forme di velo appropriate da esibire nella vita pubblica. Il consiglio sulla promozione della virtù e della prevenzione al vizio ha discusso le modalità di pubblicazione del decreto. Dopo l’abrogazione nel 2001, il governo ha ripristinato il consiglio nel settembre 2021 per un chiaro e assoluto rispetto della Shari’a.
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Con la promulgazione del decreto, anche le istituzioni internazionali hanno ricevuto l’obbligo di far coprire il corpo per intero. Forte e immediata è stata la risposta dell’ONU che ha esortato le sue dipendenti ad esibire un dresscode adeguato ai valori dell’organizzazione rigettando, così, il velo integrale.
L’obbligo dello Hijab in Afghanistan anche nella sfera lavorativa
Dopo 10 giorni dalla sua pubblicazione, tutti i settori hanno dovuto applicare l‘obbligo dell’uso dello Hijab in modo effettivo. Non sono mancate le manifestazioni di solidarietà e di rifiuto. TOLOnews, un programma televisivo di informazione e intrattenimento, ha inizialmente rifiutato di far presentare le proprie giornaliste a volto coperto. Dopo l’entrata in vigore della legge, ha dovuto accettare. I colleghi maschi, la domenica 22 maggio, si sono presentati in studio con le mascherine coprendo il loro volto in difesa delle loro colleghe.
Durante i giorni della settimana successiva, 24 e 29 maggio, tra le strade di Kabul, molte donne sono scese in strada per protestare: queste norme violano e annullano la loro libertà ed identità di genere. Nel decreto è presente anche un punto riguardante gli uomini poiché, in qualità di parenti maschi, sono responsabili del corretto uso dell’abbigliamento. Se non rispettato, essi rischiano la reclusione e le pene corporee. Tuttavia il 6 giugno scorso è stata pubblicata in rete una foto della giornalista Khatera Ahmadi di TOLOtv interamente vestita di nero con le mani nude che coprono il viso in segno di stanchezza. La foto ha fatto il giro del mondo ed è diventata il simbolo dell’oppressione femminile in Afghanistan. Nella stessa settimana, è arrivato l’appello di Save the Children, Tavola valdese, Arci e comunità di Sant’Egidio che denunciava la mancanza di partenze dei corridoi umanitari. Donne e bambini sono bloccati ai confini a causa della rottura dei dispositivi per rilevare le impronte digitali. I nostri consolati in Iran e Pakistan hanno ricevuto la richiesta di aiuto da parte delle ONG internazionali, ma non hanno dato risposte positive.
Afghanistan come esempio di un paese attaccato ad un filo
Il bilancio della situazione attuale in materia di tutela dei diritti è negativo. Secondo Save The Children, dall’inizio del 2022 circa 142 bambini sono morti di morbillo e 505 bambine non hanno più una formazione scolastica.
A distanza di quasi un anno dalla presa al potere dei talebani, il paese è al limite della povertà con i finanziamenti internazionali sospesi. Save The Children ha allarmano le istituzioni perché preoccupato per la popolazione. Ha dichiarato infatti, che è prossima alla carestia per la mancanza di fondi, cibo e cure mediche che coprano tutti.
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Nonostante promesse di misure inclusive per l’incolumità dei cittadini, le basi per una buona tutela dei diritti fondamentali non sono state rispettate e il ruolo della donna è uno di quelli. Ricordiamo che, prima dell’intervento americano del 2001, i talebani avevano attuato un’interpretazione rigida e fondamentalista della Shari’a. Esecuzioni pubbliche, istruzione solo per i maschi, velo integrale per le donne, divieto di cinema e musica sono tornati a popolare le strade afghane.
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Fenomeni come MGF, matrimoni precoci, libertà di movimento limitata, sono stati dei punti costanti nella vita di una donna anche nel ventennio precedente. UNICEF ha stimato che nel biennio 2018-2019 il 28% delle donne tra i 15 e i 49 anni si è sposato prima dei 18 anni. La preoccupazione per le prossime stime dopo l’attuale situazione sono aumentate.
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L’obbligo dell’uso dello Hijab integrale in Afghanistan è una grave violazione della libertà femminile, una cancellazione dell’identità, come se fosse un ripristino dell’ancien régime. Le promesse di un governo moderato fatte nell’agosto scorso non sono state mantenute. Tristezza e paura invadono le strade del paese, un luogo in cui ormai più nessuno si sente al sicuro, dove essere donna diventa sempre più difficile. Le immagini di Kabul piena di donne che protestano in nome dei propri diritti, però, lanciano messaggi positivi per continuare a lottare contro le oppressioni.
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Fonti
https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/risposta-alle-emergenze/emergenza-afghanistan
http://www.vita.it/it/article/2022/06/06/afghanistan-la-cancellazione-delle-donne/163062/