In principio fu il francese André Breton, che nel 1924 pubblicò il Manifesto del Surrealismo e parlò di scrittura automatica. Alla base del pensiero surrealista vi era una totale libertà del pensiero, slegato dalla ragione. Tutto ciò che veniva in mente all’artista, in modo del tutto libero, poteva diventare a pieno diritto un’opera letteraria. Da qui, la scrittura automatica.
Una ventina d’anni dopo, oltreoceano, la scrittura automatica surrealista venne tradotta anche nel mondo delle arti figurative. Era nata l’Action Painting, altrimenti detta Espressionismo astratto. Per la prima volta il colore non veniva più disposto con cura e attenzione sulla tela, ma lasciato gocciolare, se non lanciato.
Il merito della tecnica pittorica al centro dell’Action Painting, il dripping, è di una donna: Janet Sobel (1893-1968), nata in Ucraina e trasferitasi negli Stati Uniti a quindici anni. Molti associano – a ragion veduta – il dripping al nome di Jackson Pollock (1912-1956), ma non tutti sanno che in realtà questo artista scoprì la tecnica che lo avrebbe reso celebre solo dopo aver visto, nel 1946, alcune opere della Sobel, pittrice per hobby e inconsapevolmente madre di una tecnica che avrebbe ispirato intere generazioni di artisti.
Tra queste opere, non si può non citare Milky Way, oggi al Museum of Modern Art di New York.
Dripping è libertà, insegnano la Sobel e Pollock. È la conferma che, nel lontano 1924, Breton aveva avuto ragione: le costrizioni della ragione hanno poco o niente a che vedere con l’arte.
Il dripping è un vero inno alla libertà, al punto che Pollock smise ben presto di dare un titolo alle sue opere per limitarsi a numerarle. Se ci fosse stato un titolo, sosteneva, l’osservatore sarebbe stato in qualche modo condizionato. Questo non doveva accadere. Le tele dovevano parlare a ciascuno soltanto attraverso il colore, lasciando da parte tutto ciò che era razionale. Parola inclusa.