Il XX secolo fu un immenso dispiegarsi di conflitti mondiali, contraddistinto da una crisi dei valori umani. Attivisti politici, artisti e intellettuali sostennero una strenua lotta per la rinascita di una libertà sociale, culturale ed ideologica. Esautorando il primato di altri generi letterari, fra cui l’ormai consueto romanzo o la troppo emotiva poesia, il teatro si propose come nuovo strumento di denuncia, grazie all’efficacia del suo effetto drammatico e all’immediatezza del suo messaggio.
Ad esso ricorsero numerosi scrittori, che si avvalsero del palcoscenico per mostrare la tragicità della loro epoca, al fine di instillare nel pubblico una nuova consapevolezza etico–sociale. Particolarmente delicato fu il periodo della seconda guerra mondiale, in cui tali contestazioni dovettero indossare la maschera del classicismo per non destare sospetti. Si ricordi a tal proposito l’opera di Bertolt Brecht, con la sua Antigone (1948), dove l’eroina sofoclea è tramutata, nelle prime battute, nella sorella di un disertore.
Ruolo chiave nella reinterpretazione della mitologia fu quello ricoperto dal francese Jean Anouilh, il quale rivestì i panni di un traduttore, modernizzatore della tragedia antica, attualizzandola nella contemporaneità. Jean Anouilh nacque a Cérisole, piccolo villaggio nei pressi di Bordeaux, il 23 giugno 1910. Di paterne origini basche, Anouilh ereditò dalla madre, violinista e insegnante di pianoforte, la passione per l’arte e soprattutto per il teatro, assorbendo la grandezza di Molière, Alfred de Musset e Pierre de Marivaux al ritmo dell’archetto materno.
Trasferitosi con la famiglia a Parigi nel 1921, Anouilh frequentò il Collège Chaptal, insieme al futuro attore e regista Jean Louis Barrault, e per un breve periodo fu studente di legge all’Università di Parigi (poi abbandonata per lavorare in un’agenzia pubblicitaria con il collega e poeta Jacques Prévert). L’influenza culturale di Anouilh fu molto varia e determinata da una parabola storica incredibilmente ampia: dai capisaldi della drammaturgia, come William Shakespeare e Caldéron de la Barca, sino a i contemporanei, fra cui Luigi Pirandello, e i suoi inconsapevoli mentori Jean Giraudoux e Jean Cocteau, scoperti entrambi nel 1928 (Giraudoux tramite la sua opera Siegfried, Cocteau grazie al film Les Mariés de la Tour Eiffel).
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Tali incontri furono determinanti in quanto lo portarono alla decisione di diventare scrittore professionista, e quindi di sussistere grazie alla propria arte. Risale al 1932 il successo mediante quella che viene considerata la sua prima pièce, l’Hermine (L’Ermellino). Lo stile di Anouilh si sviluppò parallelamente all’incalzare dei regimi nazisti, e fu proprio durante il governo collaborazionista di Vichy che si determinò il carattere saliente e più amato del suo teatro: la reinterpretazione e l’adattamento dei classici. Tramite le sue Euridice, Antigone e Medea, Anouilh riuscì a sviscerare tematiche socio–familiari profonde e delicate, immergendosi nell’instabilità dell’individuo e nella sua suscettibilità storica.
Con Eurydice (Euridice, 1941), il drammaturgo francese reinterpreta il mito infelice di Orfeo ed Euridice, narrato nelle opere di Apollonio Rodio, Ovidio e Virgilio, il cui amore non volle arrendersi alla morte e alle acque infernali dello Stige, trattando la tragicità degli albori amorosi spenti dalla foga della rabbia e della gelosia. Nel mito classico infatti la driade Euridice, sposa di Orfeo, per sfuggire al corteggiamento di Aristeo, figlio di Apollo, calpestò un serpente che la morse, uccidendola. Orfeo, con la sua inseparabile lira, si addentrò nelle profondità dell’Ade per riavere la sua sposa.
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Per Anouilh, Euridice è invece una giovane attrice che suscita l’amore dello squattrinato violinista Orfeo. In seguito ad un’accesa lite di gelosia, Euridice si lascia investire da un bus. Riportata alla vita dal misterioso Mr. Henri, giace accanto ad Orfeo che ha il divieto di voltarsi a guardarla, divieto che, historia docet, viene infranto provocando così la morte degli amanti.
Nello stesso anno Anouilh scrisse la sua opera più celebre, l’Antigone, adattamento della grande tragedia sofoclea. Ricalcando sui valori di sororità e dovere morale, Anouilh presenta un’Antigone giovane e inconsapevole, animata più da uno spirito ribelle che da vero e proprio amore fraterno. Nell’opera classica così come in quella francese Antigone, figlia degli incestuosi Edipo e Giocasta, si scontra contro lo zio e sovrano di Tebe Creonte, il quale, in seguito a un lotta intestina provocata dai nipoti Eteocle e Polinice, emana un divieto riguardo la sepoltura dei defunti principi: Eteocle, eroe e difensore della patria, sarà sepolto in pompa magna mentre il sovversivo Polinice verrà lasciato alla mercé di cani e ratti. Antigone, ignorando il decreto dello zio, seppellisce il defunto fratello Polinice, incombendo così nell’ineluttabilità della legge che ne esige l’esecuzione per tradimento.
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Se l’Antigone sofoclea lotta per la difesa della sacralità degli affetti, del decreto divino al di sopra di quello umano, l’Antigone di Anouilh inciampa nella sua stessa gioventù, inesperta e troppo impulsiva, agendo non per amore del fratello, ma per amore della ribellione. Centrale è la figura di Creonte che devia dal mito classico tramutandosi in un anziano saggio e compassionevole, schiacciato dal peso del dovere e del destino. Chiari sono i riferimenti a una realtà contemporanea dove la guerra reclama le sue vittime innocenti, cieca falce che miete senza riguardo per età, rango o sesso.
Infine sorge Médée (Medea, 1946), la madre delittuosa, che, lacerata dall’odio per il fedifrago Giasone, uccide i frutti del suo ventre per punirlo in un impeto di rabbia, odio e pietà. La Medea di Anouilh vive in una roulotte, e uccide i figli avuti da Giasone, che l’abbandona per sposare una donna più giovane. Se la Medea di Euripide è una donna potente artefice di immondi delitti ma consapevole della sua scelleratezza, la Medea francese è invece rabbiosa, istintiva e incontrollata, e paga il suo crimine bruciando fra le fiamme del suo nido inutile e distrutto. Il dolore e la follia materni sono qui soppressi dalla delusione di carattere relazionale, nell’esaltazione dell’incompatibilità insormontabile fra uomo e donna. Medea è una donna tradita, non nella sua leggendaria potenza di maga, ma nell’intima fragilità di donna innamorata, che distrugge gli ultimi vincoli, gli ultimi ricordi, legati a un amore che ormai non c’è più.
Sebbene la produzione teatrale di Anouilh, articolata in pièces nere (L’Hermine, Le voyageur sans bagage, La sauvage, Eurydice, Antigone ), pièces rosa (Le Bal des Voleurs, Léocadia ), pièces brillanti (L’Invitation au Château, Colombe, La répétition ou l’amour puni), pièces stridenti (Ardèle ou la Marguerite, La valse des toréadors, Pauvre Bitos ou le dîner de têtes, Ornifle ou le courant d’air ), pièces in costume (L’Alouette, Becket ou l’honneur de Dieu), e pièces barocche (Cher Antoine; ou l’amour raté ), sia vasta e varia, egli viene ricordato per la maestria con la quale colse il senso del classicismo mitico, riconsegnandolo ai posteri con nuovi costumi di scena, nuove scenografie, ma lo stesso inalterato significato. Con la finezza di pensiero e la grazia espressiva che lo caratterizzano, Jean Anouilh (scomparso a Losanna il 3 ottobre 1987) fu la voce di un popolo mondiale, senza confini nazionali, la cui cittadinanza risiede nella sofferenza, e al contempo fu la voce mesta e purtroppo impotente del passato, la cui saggia lezione l’uomo sembra tuttora non voler imparare.
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