Tende a frotte, in alto sulla collina e declinanti verso il palco. Che guardano con occhi vispi e poi sempre più annebbiati nella sera, le luci calde del palco che si alzano con le voci. L’equilibrio è un’utopia ma per prevenire un disagio eccessivo i montatori si affaccendano sul piano, in alto, al culmine della salita. Quindi a scendere lentamente le tende si spianano in teli, e folte le teste si schiaffeggiano addosso la loro allegria. Al Nistoc – una montagna di musica lo spirito è alto sempre, complici il bel bere e il bel mangiare, ma anche l’ambiente perfetto che spalanca gli occhi e chiude lo stomaco.
Nistoc è Woodstock a Nistisino, un paese di quattro case buttate ma saldamente ancorate sopra Sulzano, sul lago d’Iseo (Bs). Quest’anno ci si urlava nelle orecchie sotto il palco «salviamo il Nistoc», perché serpeggia il sospetto fondato che sia stato l’ultimo anno del festival. È del 2002 il primo tentativo schizzato del format sul lago. L’entusiasmo allora era stato trascinante, nel 2003 incanalato nell’Associazione Culturale ArteMusica Nistoc. Dal 2016 all’appuntamento consolidato sulla montagna si è aggiunta la poesia della spiaggia, con il Lido in Blues, in collaborazione con la ProLoco e il Comune di Sulzano.
A Nistisino, «terrazzo naturale da cui si domina il lago d’Iseo», il tempo è sempre inclemente e ogni rannuvolamento dei dintorni pesa immancabilmente sulla zona. Raramente gli organizzatori sono graziati, e una o più serate dei quattro giorni adibiti è spesso annullata. Resiste lo spirito forte di giovani e famiglie che carica l’aria di vibrazioni, ma non sempre basta economicamente a sostenere l’evento. Nistoc deve essere buona musica a titolo rigorosamente gratuito, a far incontrare e confrontare generazioni diverse, ai tavoli, sopra e sotto il palco.
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Filo rosso a cucire il treno di concerti è l’omaggio a un artista, a cui tutti i gruppi ospitati devono regalare lo spazio di un brano, rivisitato a piacimento. C’è tempo per il sempre valido mainstream, e per chi tra i talenti della zona vuole farsi conoscere. La formula del Nistocchino si alimenta proprio dei giovani emergenti della zona, che salgono coi brividi sui palchi alti della montagna.
A Nistoc si campeggia, ma senza vetro e lattine, e si passeggia tra bancarelle di artigianato, bijoux, manufatti tessili e piccoli strumenti fatti a mano. Si parcheggia, in uno spazio ampio che costa un euro, accompagnati dai bambini che indicano la via. A disposizione bagni e docce, per chi vuole distendersi su quattro giorni l’esperienza della montagna. Tra gli ospiti quest’anno militava l’Associazione Angelman, «che aiuta chi soffre della sindrome di Angelman: malattia neurologica rara, di origine genetica, caratterizzata da ritardo mentale, disabilità motorie, seri disturbi del linguaggio e, spesso, epilessia» (www.associazioneangelman.it).
Al Nistoc si arriva seguendo le mucche, i loro profili tracciati sui cartelli che catturano l’occhio, il muggito di quelle che invadono la vista dopo i primi tornanti. Al Nistoc non si dorme, perché si veglia tutta la notte in memoria di Pietro, morto sulla strada. E tra la birra a fiumi, il profumo del fritto che pesa sulla pelle ma alleggerisce il cuore, il lago una macchia silenziosa accanto al palco, vien proprio la tristezza dell’impotenza sapendo che forse Nistoc non sarà più. E sconosciuti dagli alti spiriti si appoggiano alle spalle e sussurrano «salviamo il Nistoc».
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