Jafar Panahi era atteso a Cannes, ma non è arrivato. Se roch (Three faces) è la nuova fatica del regista che sfida la censura iraniana. Un documentario impastato di finzione, che racconta del desiderio di una ragazzina di entrare in una scuola di teatro, ostacolato dalla famiglia conservatrice. Asghar Farhadi, l’altro regista iraniano in concorso a Cannes, ha ricordato Panahi e inutilmente invocato l’urgenza della sua presenza al festival. È dal 2010 che i film di Panahi girano clandestinamente: Taxi Tehran tre anni fa aveva superato le barriere imposte dal governo, ed era arrivato al 65°Festival internazionale del cinema di Berlino, dove aveva vinto l’Orso d’Oro.
Silenzio dopo l’Onda verde
Il 2 marzo 2010 Jafar Panahi viene arrestato dal regime iraniano per la partecipazione ai movimenti di protesta dell’Onda verde del 2009. Si mobilitano le organizzazioni per i diritti umani ed esponenti del cinema a livello internazionale, compreso il celebre regista Abbas Kiarostami, che, contrariamente alla sua abitudine a mantenere una posizione neutrale, interviene pubblicamente: Panahi viene rilasciato il 24 maggio. La condanna ritorna il 20 dicembre: Panahi è costretto a 6 mesi di reclusione e gli viene vietato di dirigere e produrre film, di viaggiare e rilasciare interviste in Iran e all’estero per vent’anni.
L’Onda verde si era alzata come protesta di quei settori della società sacrificati dal sistema politico iraniano, dai giovani alle donne alla borghesia urbana per lo più laica. Si chiedevano nuove elezioni, e riforme radicali del sistema politico, a seguito dei brogli elettorali che avevano accompagnato la vittoria e la rielezione del Presidente ultra conservatore Mahmoud Ahmadinejad. L’azione repressiva delle formazioni paramilitari pasdaran e basij è stata violenta, e senza possibilità di appello. Sono stati arrestati anche dirigenti e leader politici, a cui è stato impedito l’attività, e un pesante intervento della censura ha costretto al silenzio molti uomini di cultura.
Uno sguardo duro contro l’ingiustizia
Mentre sono la denuncia e la protesta a muovere lo sguardo del regista Jafar Panahi, che non rinuncia mai a far emergere in tutte le sue produzioni le contraddizioni di un Paese in crisi, diviso tra arcaismo e modernità, il compatriota Kiarostami osserva con cuore meno astioso, anche se serio sempre, quando parla del suo Paese. Kiarostami mostra le verità profonde, le dinamiche intrinseche di una società che ancora fatica a districarsi dalla sua storia. Panahi, giovane e combattente, le attacca, le fa emergere, duramente, in tutta la loro ingiustizia, in superficie.
Giovane tra De Sica, Hitchcok, Hawks, Bunuel e Godard
Da giovane, alla Kanoon era entrato per vedere il cinema, lontano dalle sale frequentate dal padre, che si muoveva tra quei film che per lui e le sorelle non era buona cosa guardare. È questo Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e dei giovani adulti a impastare la sua formazione da cinefilo, con le valide prove d’essai e internazionali. Qui scopre anche la produzione di Abbas Kiarostami, che pur non facendo della regia militante, sceglierà per Panahi di schierarsi apertamente.
In Ladri di biciclette di Vittorio de Sica Panahi vedeva «un film che non mi mente» dichiarava, e forse già si preannunciava un’esigenza di libertà mai negoziabile. Arruolato nella guerra Iran–Iraq, viene catturato dai curdi e trattenuto in prigionia per settantasei giorni. Delle sue memorie realizza un documentario, che riesce a passare la censura televisiva. Hitchcok, Hawks, Bunuel e Godard sono i suoi riferimenti al Collegio di cinema e tv di Teheran. La Repubblica islamica dell’Iran broadcasting canale 2 trasmette i suoi primi documentari per la televisione iraniana: I capi feriti, sulla tradizione illegale del taglio della testa nella regione dell’Azerbaijan, The Second Look, che trae spunto dalla creazione di marionette per il film Golnar, di Kambuzia Partovi.
Corti e lunghi per parlare di abitanti veri
Dopo i suoi primi due cortometraggi, Panahi decide che vuole lavorare con Kiarostami. Con un messaggio sulla segreteria lo appella a concedergli qualunque occupazione nel suo film successivo. Kiarostami vede in lui un giovane promettente, e lo assume come assistente alla regia per il suo nuovo Sotto gli ulivi.
«In un mondo in cui i film vengono realizzati con milioni di dollari, abbiamo fatto un film su una bambina che vuole comprare un pesce per meno di un dollaro -. questo è quello che stiamo cercando di mostrare»: dice di Il palloncino bianco, il suo primo lungometraggio, che vince quattro premi in Iran e viene trasmesso al Kanoon canale 2 ogni anno il giorno di Capodanno, per vari anni dopo la sua uscita. Panahi, come anche Kiarostami, del suo paese mostra gli abitanti veri, nelle loro vesti comuni. Bambini, studenti di college, venditori di pesce: da chiunque può scaturire un talento inaspettato. Il palloncino bianco vince la Camera d’Or al festival di Cannes, dove viene proiettato nel 1995. In passato era vero che in Iran i film che descrivono i bambini evitavano più facilmente la censura o la polemica politica. Tra le sue opere più celebri: Le Ballon blanc (1995), Le Cercle (2000), Sang et or (2003), Hors Jeu (2006) e Taxi Téhéran (2015). Con l’inasprimento dei rapporti politici tra Stati Uniti e Iran tuttavia, a Panahi è vietato di avere contatti telefonici o di persona per promuovere il suo film in occidente. Oggi il regista rimane vittima della censura, e a Cannes non è potuto andare per vedere il suo nuovo Se roch riflesso negli occhi degli spettatori, come chiedeva Farhadi.