Ieri, sabato 25 ottobre 2015, alle ore 13.00 la Sala Viscontea del Castello Sforzesco di Milano ha ospitato l’evento Bookcity: Scrittura e teatro nelle carceri milanesi di Bollate, Opera e San Vittore.
L’incontro è stato aperto da Ilaria Scauri, una delle responsabili del progetto “Biblioteche in rete a San Vittore”, che mette a disposizione dei detenuti libri, corsi di formazione bibliotecaria e, soprattutto, una forma di evasione e di redenzione. Grazie al sostegno della Fondazione Cariplo, al supporto di 6 enti tra cui il Comune di Milano e la Caritas, e alla generosità dei Milanesi, i quali hanno contribuito con libri e donazioni in denaro, l’iniziativa è stata in grado di fornire ai carcerati ben 53 mila volumi, distribuiti nelle 7 biblioteche del penitenziario. Al progetto di catalogazione dei libri hanno lavorato 15 persone esterne e 40 detenuti formati dal progetto grazie a un corso di 50 ore per imparare a gestire la biblioteca.
La parola è poi passata al regista Giovanni Giommi, che nel suo film Lib(e)ri, ha documentato i primi 18 mesi dello svolgimento del progetto. Il regista ha confessato la sua inesperienza nei confronti della realtà della prigione: «Per me il carcere era un luogo nuovo e credevo ai luoghi comuni che pensano tutti, ma poi ho realizzato che per certi versi è un luogo straordinario dove ho trovato molta umanità e tante qualità». Giommi ha poi riflettuto su una frase pronunciata nel trailer del film, mostrato durante l’incontro: «In carcere il pensiero è più libero». Sebbene suoni come un controsenso, questa frase contiene in realtà una verità profonda e poco considerata: il periodo di detenzione infatti, secondo il regista, può e deve essere un’opportunità per i detenuti di riflettere e lavorare su se stessi, piuttosto che una punizione. Il carcere infatti rappresenta anche un tempo e uno spazio nei quali, lontani dalle distrazioni di massa e dalle problematiche della quotidianità, i detenuti possono prendere coscienza di se stessi e dei propri errori, compiendo un primo passo essenziale per una riabilitazione. Progetti come “Biblioteche in rete a San Vittore” dimostrano quindi che anche in Italia, al contrario di quanto si pensa, il carcere può essere uno strumento di rieducazione e di reinserimento in società.
È poi intervenuta Madel Vargas, professoressa di lingue e letterature ispanoamericane, la quale ha tenuto un seminario sul genere poliziesco al reparto femminile del carcere di San Vittore. I gialli, secondo la Vargas, sono dotati di una forte impronta realistica, in grado di offrire un interessante punto di vista su cosa definisca un crimine, un delinquente, l’autorità. Durante gli incontri con le carcerate «i ruoli si sono azzerati e i pregiudizi sono spariti, lasciando spazio ai sorrisi, alla libertà di riflessione, alle domande intelligenti».
Il microfono è toccato poi a John, detenuto del carcere di San Vittore che si occupa della biblioteca. Oltre a lui, a gestire il suo reparto sono soprattutto ragazzi dai 18 ai 23 anni. La sua soddisfazione più grande è quando «magari un ragazzo che non ha mai letto un libro in vita sua entra in biblioteca e mi chiede un consiglio su cosa leggere. Quando torna a restituire il libro dopo averlo letto per me è un motivo d’orgoglio». Dalle sue parole emerge poi un altro vantaggio del progetto: «Leggere insieme, ad alta voce, ci offre la possibilità di confrontarci, di dire la nostra riguardo a come immaginiamo le scene descritte nei libri. Questa cosa ci lega, aiuta i rapporti all’interno del carcere e ci permette di scoprire di più su noi stessi». John ora studia per diventare un tecnico dei servizi socio-sanitari. «In carcere», racconta, «ho sfruttato molte possibilità».
È stata poi la volta della regista Donatella Massimilla e della compagnia del CETEC – San Vittore Globe Theatre, che insieme a Margaret Rose, professoressa di Storia del Teatro Inglese all’Università degli Studi di Milano, ha presentato il libro: San Vittore Globe Theatre. The Tempest. Questa rielaborazione dell’opera teatrale shakespeariana, pubblicata da Ledizioni, verrà venduta anche a bordo dell’ Ape Shakespeare, un’ape car che distribuirà «street food e street literature» davanti alle scuole delle periferie milanesi, in un tentativo di avvicinare i più giovani al teatro. La Massimilla ha poi parlato del suo progetto CETEC (Centro Europeo Teatro e Carcere) che da vent’anni offre alle detenute la possibilità di mettere in scena delle opere teatrali. Il teatro, secondo la regista, è un eccezionale aiuto per i detenuti, perché questi possono recitare delle parti di personaggi che condividono alcune delle loro situazioni e grazie a ciò riflettere sulla loro condizione.
Successivamente è stato il turno di alcuni detenuti dei carceri di Opera e Bollate, membri del Gruppo della Trasgressione, coordinato da Angelo Aparo, presente all’incontro. Il progetto coinvolge circa 70 detenuti e 20 tra studenti e altri interessati ed è attivo nei carceri di Bollate, Opera e San Vittore al fine di offrire uno spazio in cui ragionare ed esternare considerazioni e pensieri sulla propria condizione, anche sotto forma di letteratura o musica. Dopo aver letto, e in un caso cantato, alcune delle loro opere, i detenuti hanno espresso alcuni temi tra quelli emersi durante gli incontri, tra cui il rapporto problematico con se stessi e con le proprie responsabilità.