La serata del Venerdì Santo può essere un’ottima occasione di riflessione non solo per i cattolici, ma anche per tutti i non credenti. Il rito della Via Crucis è denso di potentissimi significati simbolici riguardanti l’umanità intera: il cammino di sofferenza, sacrificio, responsabilità (che parola contemporanea!) intrapreso da Cristo sul sentiero che porta al Golgota rappresenta la vicenda del misero consorzio umano in tutte le sue sfaccettature. Se si può credere o meno ad una gloriosa resurrezione redentrice (e chi scrive è di un marcato scetticismo), non si può fare a meno di riconoscere la verità della morte di un uomo chiamato Gesù, emblema prima che realtà assoluta. Attraverso la narrazione di questa crudele condanna a morte e del calvario che la precede, la cultura occidentale raggiunge il proprio vertice di narrazione mitica ed epica: “Morto Dio / morto io”, dice un fulminante distico di Giorgio Caproni, e l’uomo si trova allo specchio, nudo e desolato. Osservate l’espressione di Cristo negli Ecce Homo (sono numerosi) di Antonello di Messina: chinque di noi può riconoscere la tragedia di sé stesso e del mondo in quegli occhi scavati e tumefatti di uomo vero. Il sangue che cola dalle tempie è una condanna all’ingiustizia e all’emarginazione, le labbra distorte dal dolore sono amareggiate nella contemplazione del mistero più certo e devastante: la morte. Agli occhi di un credente il Golgota appare come la base per un “rilancio” dell’umanità. Per un ateo questa brulla collina è il simbolo delle nostre miserie, e Cristo che trasporta la croce non è destinato a risorgere, bensì a ripercorrere in eterno, come Sisifo, questa salita. L’accettazione della vita sta sostanzialmente nell’accettazione della sua inevitabile fine. Non sempre purtroppo si riesce a giungere a compromessi.
Una premessa del genere era necessaria per introdurre il Requiem di Verdi eseguito proprio venerdì 29 al Teatro Manzoni di Bologna. Da anni nella stagione sinfonica del Comunale il Venerdì Santo è dedicato alla riproposizione di un “titolo a tema”: per fare un esempio, due anni fa ascoltai il Requiem di Mozart, mentre l’anno scorso fu la volta della Matthaupassion di Bach. Un’usanza assolutamente degna di plauso, poiché fonde riflessione con intrattenimento d’alta qualità: un teatro che voglia conservare anche una funzione civile deve procedere senz’altro di questo passo. Quest’anno, che come tutti sanno segna un compleanno importante per il Giuseppe nazionale, si è scelto appunto il Requiem composto in memoria di Alessandro Manzoni. Un Requiem, secondo la mia visione, ateo: il dialogo dell’uomo con Dio si fa infatti ricerca di Dio, disperata perché definitiva. Nel “Libera Me” conclusivo il soprano canta una splendida melodia in pianissimo, mentre il coro continua una severa fuga: non c’è risposta alla disperazione, la voce che si spalanca suona come una ferita non rimarginabile. Dramma esistenziale: per ritornare a Caproni (poeta fra l’altro esperto di musica e probabilmente amante di quest’opera verdiana), ci si accorge che probabilmente “Dio non s’è nascosto, / Dio s’è suicidato”.
Andando nel particolare dell’esecuzione bolognese, posso dire di aver ascoltato un Requiem straordinario. La bacchetta di Michele Mariotti, sempre più grande erede della gloriosa tradizione italiana, scorre impetuosa lungo la stremante e sublime partitura, e i momenti indimenticabili sono numerosi: un “Dies irae” elettrico e apocalittico, staccato in un tempo mozzafiato, un “Recordare” levigato con delicatezza canoviana, un “Lacrimosa” da pelle d’oca con i violini che si contorcevano in un preziosissimo lamento. Il finale, con quell’istante di sacro e pregnanten silenzio, la bacchetta ancora in aria, che vale il prezzo non di uno, ma di due biglietti, prima dello scatenarsi del pubblico in un entusiastico applauso. Ad aiutare Mariotti, quattro solisti di indiscusso valore: Tatiana Serjan (che ha sostituito all’ultimo l’indisposta Rdostina Nikolaeva), Veronica Simenoni, Aquiles Machado, Serey Artamonov. Tutti sentitamente coinvolti nel realizzare una prova intensissima. Eccellente il coro, preparato da Andrea Faidutti.
Al termine, un pubblico da grandi occasioni ha tributato una lunga ovazione al Maestro Mariotti e agli altri artisti. Ma l’attimo di silenzio prima del tripudio rimarrà sempre nella mia memoria,come se fosse stata una preghiera.
Michele Donati