Era il 1971 quando quello che la critica definisce “il film più politico di Allen” usciva nelle sale cinematografiche. Il dittatore dello stato libero di Bananas viene definito una satira pungente, in cui la comicità di Woody Allen predomina, ma si staglia su uno sfondo di complessità geopolitiche le cui conseguenze sono ancora consistenti nei giorni nostri, così come sono attuali le critiche al sistema politico che il regista propone.
Il carattere satirico del film fa capolino già nella prima scena, con la surreale narrazione mediatica dell’omicidio politico in cui il capo del fittizio stato di Bananas cade vittima, a seguito del quale viene instaurata la dittatura militare del generale Vargas. Queste vicende internazionali non toccano l’esistenza del protagonista Fielding Mellish fino a quando Nancy, giovane laureata in filosofia di cui si innamorerà, e che fa dell’attivismo il suo hobby, non bussa alla sua porta. Nancy chiede a Fielding di firmare una petizione contro il neonato regime autoritario nello stato latino-americano, poi nel corso della loro relazione lo trascina a manifestazioni e cortei, per lasciarlo, successivamente, in quanto non è abbastanza politicamente maturo, audace e forte come l’uomo che lei vorrebbe.
In effetti Fielding Mellish conduce una tranquilla vita da cittadino medio americano: lavora come collaudatore industriale testando aggeggi che tradiscono la carenza di buonsenso tipica della società consumistica del tempo e di oggi, e cerca di gestire le sue nevrosi insistenti e i suoi disagi esistenziali con qualche sana dose di psicoterapia. Questi tratti caratteriali del protagonista non verranno a mancare nemmeno quando si troverà a prendere parte, dopo una serie di vicissitudini, alla resistenza rivoluzionaria nel Bananas e addirittura a diventarne il presidente. L’inettitudine sociale e politica di Fielding Mellish è la caratteristica maggiormente messa in risalto nel corso di tutta la pellicola, che vuole dissacrare l’immagine del rivoluzionario eroico senza macchia e senza paura.
La satira del potere de «Il dittatore dello stato libero di Bananas»
Nell’immaginario ricreato da Allen, i terremoti storico-politici che fanno tremare il continente americano sono frutto di calcoli, interessi e fatalità del caso, non di gesta mitiche e idealiste di un leader o di un altro. Non c’è ragione né giustizia da nessuna delle due parti: domina l’assurdità delle logiche che stanno dietro al potere, il quale è il vero obiettivo polemico del film, attaccato con le armi dell’ironia.
Non c’è strategia, decisione politica o avvenimento nel corso del film che non venga rappresentato in modo iperbolico, con il risultato di portare agli occhi dello spettatore l’assurdità delle dinamiche che lo circondano. Assurdità non figlia di quella tecnica d’esagerazione, ma delle logiche intrinseche che soggiacciono proprio a quelle strategie, decisioni e avvenimenti. Logiche comunemente occulte, nascoste con cura attraverso un velo che è un misto di ipocrisia, propaganda e linguaggio diplomatico.
Questo il messaggio che Allen sembra voler lanciare. Ma quale modo migliore di esprimerlo se non nel riferimento a quel palcoscenico politico-militare in cui solo dieci anni prima ci si era pericolosamente avvicinati al dramma dello scoppio di una guerra nucleare?
Non c’è dubbio su quale sia il contesto di riferimento del film, per cosa stia Bananas e quale sia l’architettura geopolitica presa di mira da Woody Allen. Il rivoluzionario che guida la guerriglia nel Bananas contro Vargas si ch…