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Piazza degli eroi

«Piazza degli Eroi»: Bernhard sconvolge anche oggi

Al Piccolo Teatro Strehler di Milano viene presentata, per la prima volta in Italia, l'ultima opera di Thomas Bernhard. Uno spettacolo che colpisce per l'attualità.

3 minuti di lettura

Vienna, Piazza degli Eroi, 1988. Eppure, potrebbe essere una qualsiasi piazza italiana del 2021… sfortunatamente. L’opera ultima di Thomas Bernhard, Piazza degli Eroi, approda finalmente, per la prima volta, in Italia e la presenta il Piccolo Teatro Strehler, dal 3 al 14 novembre. Cosa ha spinto la necessità di presentare oggi quest’opera? Probabilmente lo stesso motivo per cui questo spettacolo riesce a colpirti nel profondo: dati gli ultimi tristi eventi, si dimostra essere estremamente attuale.

Una famiglia sconvolta dal suicidio del Professore

I personaggi e la messa in scena che Bernhard sceglie per quest’opera sono fortemente influenzati dal Giardino dei ciliegi di Anton Čechov. Infatti, assistiamo alla decadenza della famiglia Schuster a causa del suicidio del Professore, quello che potremmo considerare il patriarca.

La sua morte provoca una reazione forte in tutti coloro che lo circondano, a partire dalle domestiche. Nel primo atto, la Signora Zittel – la sua preferita – e Herta discutono sulla personalità del Professore mentre ripiegano i suoi vestiti, dato che ora venderanno la casa. Comincia una descrizione poco lusinghiera ma, contemporaneamente, molto rispettosa della sua figura: preciso, rigido, severo ed egocentrico, ma un ottimo uomo di pensiero, un filosofo. Il Professore non si vede mai, si parla solo di lui e del suo suicidio.

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Nel secondo atto, vengono presentati il fratello Robert e le figlie, Anna e Olga. Anna è testarda, vuole andare avanti e protestare per ciò che è giusto: vuole che Robert firmi una lettera contro la costruzione di una strada in mezzo al loro giardino… che tanto ricorda Čechov. Olga è silenziosa, freddolosa, lascia che gli altri prendano la parola, ferma nel suo lutto.

Robert è, ormai, «solo un vecchio». Sono finiti i tempi di protesta, per lui, perché è consapevole dell’inutilità che a cui portano. Alla fine, cos’è cambiato dal 1938? La gente ancora li guarda male per strada, sputa addosso ad Olga, cacciano il fratello dall’università. Nulla è cambiato e «Vienna è piena di nazisti» che aspettano il momento opportuno.

Nel terzo atto, si aggiungono anche il figlio Lukas e la moglie del Professore; quest’ultima è profondamente turbata da ciò che quella piazza, fuori dalla sua finestra, le ricorda: incessanti, le grida su Piazza degli Eroi accompagnano il discorso di Hitler nella proclamazione dell’Anschluss, l’annessione austriaca al reich.

L’antisemitismo non sparisce, è solo nascosto

I discorsi che Robert Schuster esprime colpiscono lo spettatore come un fulmine a ciel sereno. Ci mostra, aspramente, la verità: non è cambiato nulla. Oggi come nel 1988, il 1988 come il 1938. Dati gli ultimi avvenimenti di questi anni, non faremmo fatica a credere che l’opera sia stata scritta ai giorni nostri. Sembra quasi un’esagerazione, ma anche ai tempi, come vediamo, veniva considerata tale. Eppure, la discriminazione c’era.

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La vediamo nella lenta ma inesorabile pazzia della moglie del Professore, che continua ad avere attacchi di panico a causa dei suoi ricordi. La troviamo nella motivazione che spinge il Professore al suicidio: l’emarginazione attuata dai suoi colleghi solamente perché ebreo. La vediamo in Olga, quando Robert ci dice che le hanno sputato in faccia poiché ebrea.

Come dicono Robert e Anna, «Vienna sopportava gli ebrei, prima della guerra», ma qualcosa è cambiato ed ovunque vadano, anche a distanza di decenni, vengono derisi anche solo con lo sguardo. I loro racconti arrivano allo spettatore con gran forza, spingendo a chiederci: da noi è forse diverso?

Prima del suicidio, il Professore e la moglie sarebbero voluti tornare ad Oxford, dove lui insegnava. Ma ci viene fatto capire che non sarebbe cambiato nulla. «Gli europei sono da tempo condannati a morte. La sentenza è stata pronunciata»: ovunque sarebbe andato, gli sguardi non sarebbero scomparsi.

Le due facce della sconfitta di Piazza degli Eroi

Interessante è il rapporto che lega i due fratelli, Robert e il Professore. Solo Robert lo chiama per nome, Josef, ed è lui che ne tesse i caratteri forse più sinceri. Entrambi professori, entrambi emigrati in Inghilterra: il primo per insegnare filosofia a Cambridge, il secondo per insegnare matematica ad Oxford. Eppure, secondo le parole di Robert, «era lui il filosofo».

Entrambi tornano a Vienna e il motivo sembra unicamente l’amore per la musica. Probabilmente si ritorna per ricordare, perché è diventato impossibile dimenticare: e allora qual è la soluzione?
Per Josef è il suicidio. Diventa tutto troppo difficile per andare avanti, meglio uscire di scena quando ancora se ne ha la forza, con la logicità che lo ha sempre contraddistinto.

Per Robert è l’annullamento. Sopravvive, semplicemente, come un fantasma che vaga nelle sale da concerto e visita le nipoti. Senza la voglia di cambiare le cose, dato che «la tragedia è essergli sopravvissuto».

Entrambi hanno deciso di abbandonare la vita a modo loro, sperando che non si compia l’ultima tragedia: dover tornare di nuovo al mondo.

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Greta Mezzalira

Classe 1995, laureata in Filologia Moderna. Innamorata del teatro fin dalla prima visione di "Sogno di una notte di mezza estate" durante una gita scolastica. Amante di musical e di letteratura.

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