Ci dev’essere uno spirito comune ai sudamericani che ne informa le menti di coraggio e audacia. Eduardo Viveiros de Castro è un antropologo brasiliano professore all’Università di Rio de Jaineiro. I suoi contributi, pubblicati a partire dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, ne hanno fatto un punto di riferimento imprescindibile, non solo per le nuove correnti interne al campo dell’antropologia culturale (con le sue svolte cosiddette “ontologiche”), ma si è anche affermato, per la radicalità della sua proposta, tra i filosofi dei più diversi orientamenti.
Natura e cultura
Eduardo Viveiros De Castro si è formato come antropologo americanista specializzato nello studio delle società amerindiane. A partire dagli anni ’90 pubblica una serie di articoli dedicati all’analisi del cosiddetto “prospettivismo” amerindiano, poi confluiti in un ciclo di lezioni, quattro, tenute all’università di Cambridge tra il 1999-2000, da poco tradotte in italiano (Quodlibet, 2019) con il titolo Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove.
La tesi ivi sviluppata da De Castro è che presso le popolazioni amerindie la griglia concettuale tipicamente moderno-occidentale che separa la realtà in natura (regno dell’universale, della legge, della necessità) e cultura (regno del particolare, della variazione, del simbolico) non possa essere applicata per interpretare la cosmologia (la disposizione strutturata di ciò che c’è) propria a questi popoli. O meglio, tale griglia può essere utilizzata, ma al rovescio: non una natura, ma tante nature; non tante culture, ma una cultura. È questa, secondo Viveiros, la caratteristica principale del prospettivismo.
Il prospettivismo di Eduardo Viveiros De Castro
Secondo la situazione antropologico-filosofica occidentale, il mondo sarebbe abitato da diversi tipi di soggetti o persone, umane e non umane, che colgono la realtà da diversi punti di vista. Ogni punto di vista, cioè, è relativo – ossia si riferisce – a una medesima realtà, a una medesima natura, che è pertanto condivisa universalmente ma, termine fondamentale per ciò che Foucault chiamava l’episteme occidentale, “rappresentata” in modi diversi. Il substrato materiale, corporeo, che compone il mondo, le cose – questo albero, questa montagna, questa sedia – sono uguali per tutti, nonostante ognuno possa, a seconda della declinazione culturale in cui si trova inserito, rappresentarlo in maniera differente. C’è una x, una cosa in sé, materiale, alla quale la rappresentazione accede e trasforma, senza tuttavia modificare nella sua essenza profonda.
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Tale situazione, nelle cosmologie amerindie è rovesciata. Non vi sarebbe un continuum materiale a formare la base del reale (la natura), ma un’unità spirituale che si differenzia attraverso un filtro corporale. Tutto, secondo gli Amerindi, è nella sua essenza persona – questo albero, questa montagna, questa sedia –, che si differenziano grazie alla veste carnale che li ricopre. Ecco il significato del prospettivismo: si tratta della «concezione, comune a molti popoli del continente, secondo cui il mondo è abitato da diversi tipi di soggetti o persone, umane e non-umane, che colgono la realtà da diversi punti di vista».
Scrive Viveiros:
«gli animali sono persone, o vedono sé stessi come persone. Tale nozione è potenzialmente sempre associata all’idea che la forma manifesta di ogni specie sia un mero involucro (un “vestito”) che nasconde una forma internamente umana, di solito visibile solamente agli occhi di specie particolari o di certi esseri trans-specifici come gli sciamani».
Persone
Ogni cosa è una persona, che si differenzia dalle altre cose tramite il suo corpo. Ogni cosa, in altri termini, partecipa della cultura – ciò che in occidente è prerogativa dei soli umani – e accede, a seconda della sua prospettiva corporale, a una diversa natura. Questo il punto, questo il prospettivismo. Viveiros usa un’immagine efficace per descrivere quest’opzione cosmologica, radicalmente estranea alla nostra.
«Gli animali e gli spirito vedono sé stessi come umani: si percepiscono come (o diventano) esseri antropomorfi quando sono nelle proprie case o villaggi ed esperiscono le proprie abitudini e caratteristiche nella forma di cultura: vedono il proprio cibo come cibo per umani (i giaguari vedono il sangue come birra di manioca, gli avvoltoi vedono i vermi all’interno della carne marcescente come pesci grigliati ecc.), i propri attributi corporei (pelliccia, penne, artigli, becchi) come decorazioni corporee o strumenti culturali, vedono i propri sistemi sociali organizzati allo stesso modo in cui lo sono le istituzioni umane (con capi, sciamani, cerimonie, metà esogamiche ecc.)».
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Ecco allora il centro del discorso: vi è un solo punto di vista, quello della “persona”, ma ogni prospettiva è qualitativamente separata dalle altre in virtù del corpo che la genera. Entro la prospettiva multinaturalista delineata da Viveiros, a un’unità culturale corrispondono una molteplicità di nature. Ciò significa che, la natura, o meglio, le nature, non sono sguardi diversi, prospettive diverse gettate sulla stessa realtà, ma, piuttosto, realtà diverse guardate dalla stessa prospettiva, quella, per l’appunto, della “persona”. Non sono, in altri termini, visioni del mondo, ma mondi in senso stretto.
Così, un giaguaro è, nel suo fondo, una persona; uno spirito della foresta è una persona; un umano è una persona. La prospettiva che ogni essere, giaguaro, spirito o umano che sia getta sul mondo è, dunque, la stessa – tutti e tre vedono le cose nella stessa maniera, ossia dalla prospettiva della persona (tanto che Viveiros può scrivere che il giaguaro vede il sangue come birra di manioca, ossia vede la bevanda che ama come l’uomo vede la birra), ma, tuttavia, ciò che vedono in questa stessa maniera è, ogni volta, un mondo diverso.
Eduardo Viveiros De Castro e il suo Anti-Narciso
L’interlocutore privilegiato di Viveiros, attraverso il quale egli crede di poter fornire un paradigma adeguato all’esplicazione delle cosmologie amerindie, è Gilles Deleuze. Viveiros riprende dal testo che Deleuze ha dedicato a Leibniz, La piega, l’idea particolare di prospettivismo, per farne la chiave di lettura delle metafisiche amazzoniche. Secondo Deleuze, la variazione o l’inflessione di una curva, sulla quale ci si posiziona per inquadrare il fuoco di una prospettiva, è il punto vista.
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Scrive Deleuze:
lo si chiama punto di vista in quanto rappresenta la variazione o l’inflessione. Ed è questo il fondamento del prospettivismo. Prospettivismo non significa dipendenza da un soggetto definito già da prima: al contrario, sarà soggetto solo ciò che viene al punto di vista, o, piuttosto, ciò che permane nel punto di vista. Per questo, la trasformazione dell’oggetto implica una trasformazione correlata del soggetto […]. Tra la variazione e il punto di vista intercorre un rapporto necessario: non soltanto per la varietà dei punti di vista […] ma in primo luogo perché ogni punto di vista è punto di vista su una variazione. Non è il punto di vista che varia col soggetto, almeno in prima battuta; il punto di vista è al contrario la condizione nella quale un eventuale soggetto coglie una variazione
Prospettivismo, in questo senso, non è la relatività del vero, ma la verità del relativo, è l’idea che soggetto lo diviene chi accede al punto di vista: il giaguaro, l’albero, l’umano. Di qui il fine eminentemente politico della proposta di Viveiros: quella di ribaltare da cima a fondo l’impianto stesso dell’antropologia culturale e i presupposti teorici sui quali essa si è voluta edificare come scienza. Si tratta, per utilizzare un lessico volutamente deleuziano, di operare una deterritorializzazione permanente dell’antropologia, mostrare come essa abbia incorporato, senza rendersene conto, le metafisiche selvagge, per farne dei derivati e delle appendici più o meno riuscite di se stessa. Si tratta di scrivere un Anti-Narciso, un manuale di disincanto capace di riconoscere nell’antropologia il volto autentico che l’ha costituita: quello dell’altro.
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Spiegazione semplice e comprensibile, grazie