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A 10 anni dalla sua morte, cosa ci manca di Amy Winehouse

2 minuti di lettura

Dieci anni fa, il 23 luglio 2011, veniva ritrovata morta nella sua casa di Camden Town la cantante britannica Amy Winehouse. Si aggiungeva così un nome eccellente al triste Club 27, la lista dei cantanti morti a 27 anni: per citarne solo alcuni, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain.

Graffito a Tel Aviv dedicato ai cantanti del "Club 27". Da: wikipedia.org
Graffito a Tel Aviv dedicato ai cantanti del “Club 27”. Da: wikipedia.org

Se fosse stata ancora viva, Amy avrebbe avuto senz’altro molto da dare al mondo della musica soul. Ci piace pensare che sarebbe riuscita a ripulirsi definitivamente da alcol e droghe – come aveva tentato di fare a più riprese –, avrebbe superato i problemi legati ai disordini alimentari e, soprattutto, sarebbe tornata alle origini. A cantare nei club, dicendo addio ai ritmi massacranti e alle pressioni a cui era sottoposta dall’uscita di Back To Black e che con ogni evidenza non reggeva più. Era chiaro che non li reggesse più pure quel 18 giugno 2011, alla sua ultima esibizione live a Belgrado, quando le era stato intimato di andare in scena anche se lei il concerto lo avrebbe annullato. Ci è salita, su quel palco, ubriaca e incapace di cantare. Poco più di un mese dopo, la morte per coma etilico, in solitudine.

La statua dedicata a Amy Winehouse a Camden Town, Londra.
La statua dedicata a Amy Winehouse a Camden Town, Londra. Foto di Francesca Cerutti

Una carriera folgorante

L’esordio di Amy Winehouse risale al 2003, con l’album Frank, ricco di influenze jazz. Erano i tempi in cui la cantante iniziava a farsi conoscere e apprezzare da critica e pubblico, ma in fondo era ancora la ragazza di Camden che provava a dare un senso alla sua vita raccontandola nei brani che scriveva. Brani da cantare nell’atmosfera intima e raccolta di un club.

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La consacrazione vera arriva nel 2006, con l’album Back To Black, che contiene canzoni diventate dei veri e propri cult della musica anni Duemila, se non di tutti i tempi: Rehab, Back To Black, You Know I’m No Good, Tears Dry On Their Own, Love Is A Losing Game. Un disco in cui si mostra ormai robusto lo stile inimitabile di Amy Winehouse e che le vale ben cinque Grammy.

C’è però un’altra faccia della medaglia: i paparazzi che non le danno tregua, le aspettative altissime e le pressioni da parte dei discografici, la relazione tossica – poi matrimonio – con Blake Fielder-Civil, per cui la cantante sviluppa una vera dipendenza emotiva e che la inizia a diverse droghe pesanti. Anche dopo il divorzio, nel 2009, la situazione non sembra migliorare, in un’altalena di tentativi di riabilitazione e ricadute.

Il testamento spirituale di Amy Winehouse

L’ultimo disco, Lioness: Hidden Treasures, viene pubblicato postumo a dicembre 2011, trasformandosi nell’inconsapevole testamento spirituale di Amy Winehouse. A posteriori, sentirla cantare speranzosa Our Day Will Come, verrà il nostro giorno, è straziante.

Our day will come / if we just wait a while / no tears for us / think love and wear a smile

[Verrà il nostro giorno / se aspetteremo un po’ / nessuna lacrima per noi / immagina l’amore e metti un sorriso]

Strazia anche pensare ai fischi del pubblico e all’indifferenza dello staff in quell’ultima, disastrosa esibizione a Belgrado. Forse bastava poco per scongiurare l’irreparabile. Quando Amy era in vita si è preferito ignorare la persona dietro le canzoni; oggi quelle canzoni sono la sola cosa che resta. Brani senza tempo, che narrano tutta la fragilità e le imperfezioni di una ragazza con un talento raro, che non era semplicemente pronta a gestire un clamore mediatico che non aveva chiesto. La fiamma di Amy Winehouse si è consumata troppo in fretta. Quanto sarebbe stato bello sentire cosa avrebbe avuto da raccontarci oggi, quasi alla soglia dei 40 anni, sempre con la sua voce rotta. Ma quanto è stata capace, con quella voce, di accarezzarci l’anima in soli 27 anni di vita.

Ascolta le migliori canzoni di Amy Winehouse su Spotify:

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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l'impresa e specializzata in Traduzione. Sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Nel 2020 è stato pubblicato il suo romanzo d'esordio, «Noi quattro nel mondo».

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