È un pomeriggio d’estate e l’aria è fresca e noi ci troviamo in un posto a metà tra la Terra e il Paradiso, in un verde pianoro del massiccio del Pollino in Basilicata. È qui che incontriamo lo scultore e pittore Giordano Santoro. Classe 1987, originario di Martina Franca, città della Valle d’Itria pugliese, ci accompagna in questa chiacchierata, immersi in un panorama che ha dell’onirico, in cui cercheremo di scoprire il senso dell’eros che si mescola all’arte.
Con Giordano parliamo di senso e non di significato, perché in semiotica, il senso trascende anche lo stesso mero significato e acquista valore all’interno di un contesto specifico, fatto di esperienze vere e vissute, quelle esperienze che segnano il corpo, che lo lasciano sanguinare, scalfendolo per sempre e che si sublimano nella perfezione misterica di un atto artistico.
Quanto di eros c’è nell’arte e quanto di arte c’è nell’eros
Il concetto di eros implica un’eccedenza, esattamente come l’arte. Perché? Il filosofo Ferruccio Rossi Landi, nell’opera Il linguaggio come lavoro e come mercato (Bompiani, 2003), sosteneva che l’opera d’arte è, nella riproduzione tecnica dello strumento del linguaggio verbale umano, allo stadio di “non più riproducibilità”, perché unica e come unica ci serba un mistero inafferrabile. L’eros nasce da un eccesso dell’io che dà di fuori e va verso l’altro, verso l’inafferrabilità dell’altro che è ciò che gli causa il desiderio di attrazione, di congiungersi all’altro che non potrà mai possedere.
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Nell’arte, costantemente, si tenta di cogliere quell’inafferrabilità, che non è solo l’altro persona, ma anche l’altro come sentimento, dolore, passione. Ed è per questo che l’arte, come il trasporto erotico, è l’unico modo che abbiamo di avvicinarci a quell’ “altro” così sfuggente, incontrandolo nella materia dell’atto sessuale o di quella di un’opera d’arte.
Giordano Santoro: l’eros come materia dell’arte
La nostra chiacchierata con Giordano Santoro inizia proprio da qui, dal concetto di materia. Nella sua scultura si mescolano gesso, lattice e materie sintetiche che si assemblano armonicamente nell’interpretazione della natura umana, fatta di squarci, aperture, orifizi; essi si pongono come il punto di partenza imprescindibile per una nuova vita, per dei nuovi sensi. Nell’eros e nel movimento erotico dell’uno verso l’altro c’è materia che si trasforma e si rinnova. Presi dal vortice dell’eros gli esseri umani mutano forma, esattamente come la vita muta forma nell’incontro con l’immaginazione e diviene arte.
Chiediamo a Giordano di descriverci innanzitutto cosa sia per lui erotico: da qui la sua idea prende forma reale e concreta e senza troppi voli pindarici arriva subito al cuore: erotico è ciò che passa attraverso i sensi e che lascia inevitabilmente traccia dentro di noi. È solo partendo da qui che quella traccia, lasciata, depositata dentro un’anima, può ricollocarsi nel mondo come materia.
L’idea che nasce nella mente trova il modo per liberarsi, spingersi oltre e nell’atto artistico ed erotico eccedente da se stesso, diviene materia ed esplode, sublimandosi nel contatto tra le mani e la scultura.
Le ferite dell’eros che diventano arte
Ma come ogni materia, anche quella erotica e artistica presenta le sue ferite. Nelle opere di Giordano Santoro la ferita è topica e acuta. Ci racconta dell’opera Tampona, dove sono proprio quelle ferite che fanno da protagoniste. Dai nostri tagli scivola via del sangue, che è già materia organica in sé. Conservare quel sangue, quella traccia nella sua essenza più reale e non solo come memoria, ci ricorda chi siamo stati e da dove dobbiamo ripartire per rinascere. La presenza degli specchi, poi, ci costringe a fare i conti con quelle nostre stesse cicatrici e dal cambiamento che esse hanno apportato alla nostra persona, ripensarci in una forma nuova. Arte ed eros che si incontrano nella mutazione radicale dell’uno che esce e ritorna continuamente a sé, ma ogni volta diverso.
Ed è proprio questa perenne oscillazione del venire fuori da sé, dell’eccedere come essere artistico ed erotico, che spesso spinge l’umano a corazzarsi di fronte alla vita. L’intimità dell’eros, come anche quella dell’arte, sono baratri che spaventano, perché è impossibile coglierne la fine.
E’ ciò che emerge dall’opera Sistole e Diastole, da dove traspare il bisogno di corazzarsi di fronte il mondo, di fronte quella vulnerabilità alla quale ci consegna la necessità erotica di eccedere, di farci altro da noi. Ciò nonostante la sfera di Sistole e Diastole, mantenendosi salda nel suo centro, si libera dalla gravità rivolgendosi al cielo, mentre ci lascia aperto uno squarcio, che è impossibile chiudere, perché è proprio della nostra natura il dare, come il ricevere, l’accogliere come il liberare.
L’eterno ritorno dell’arte e dell’eros
E qui ritorniamo all’eros. Al momento in cui, consapevoli della nostra vulnerabilità, non possiamo fare altro che lasciarci andare. Concludiamo la nostra chiacchierata con la riflessione che per quanto un essere umano possa cercare una dimensione semplice e genuina nel suo vivere, ci sarà sempre qualcosa che ci condurrà verso l’inesplorabilità di noi stessi e dell’alterità.
Il mistero della comunione carnale diviene così eroticamente e, come nel caso di Giordano Santoro, anche artisticamente ciò che ci prepara all’incanto dell’aura che un’opera d’arte, come di un rapporto sessuale erotico di totale fusione con l’altro, desta in noi ancora sorpresa, timore, ma inevitabile attrazione.
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