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Tra identità e morte, la fotografia secondo Sciascia

4 minuti di lettura

Nell’era del selfie compulsivo e della smania di visibilità, che cos’è davvero la fotografia? Un’arte, una scienza, una visione? In molti (per citarne alcuni: Alberto Savinio, Susan Sontag e Henri Cartier-Bresson) si sono interrogati sull’ubi consistam – la sostanza estetica, fisica e metafisica – della fotografia a partire dall’osservazione
della realtà, passando poi alla sua trasposizione, analogica e digitale, per arrivare infine alla sua lettura. Non poteva non prendere parte al dibattito la penna, fulgidamente versatile, di Leonardo Sciascia, artista della parola, scrittore solitario e uomo di lettere impegnato. I suoi interventi, accompagnati da una galleria di fotografie inedite realizzate attorno agli anni Cinquanta, sono per la prima volta raccolti in Sulla fotografia, recente pubblicazione a cura di Diego Mormorio per la collana Sguardi e Visioni di Mimesis Edizioni. Il volume consta di una nota introduttiva del curatore, storico, critico della fotografia e saggista, e di due saggi dello scrittore Sciascia, pessimista “illuminato”, qui in veste di curioso amateur. Ne seguiamo in ordine lo sviluppo.

Leonardo Sciascia sulla Fotografia
Fonte: ibs.it

Sulle orme di Barthes: il ritratto fotografico

Nel 1987, in un percorso a ritroso dalla pietra miliare La camera chiara. Nota sulla fotografia di Roland Barthes, Sciascia riadatta ne Il ritratto fotografico come entelechia il concetto aristotelico di finalità: «Nel ritratto fotografico si realizza un’attendibilità che non pone o allontana il problema della somiglianza fisica e però restituisce il senso di quella vita, di quella storia, di quell’opera compiutamente, in entelechia». E finalmente viene meno il più duro dei luoghi comuni, la generalissima fotogenia, da sempre conditio sine qua non di ogni ritratto fotografico. Questa categoria risulterebbe ridicola e persino paradossale, secondo Sciascia, giacché tutte le anime ritratte sono singolari. Ne consegue che la sostanza fotografica è unica e irripetibile.

La Sicilia nella fotografia di Sciascia

L’interesse di Sciascia per la fotografia e la sua attività di saggista si incontrano in occasione delle pubblicazioni fotografiche dei conterranei Ferdinando Scianna e Melo Minnella. È peraltro ovvio che la Sicilia, soprattutto l’amata Racalmuto natia, si è prestata come scenario ideale non solo della sua opera letteraria. Questa appare altresì negli scatti del suo archivio privato (immancabilmente intervallato da varie citazioni tratte dai romanzi e dai racconti): una campagna selvatica, aspra, con vasto silenzio rotto dal frinire delle cicale e dei grilli. Si tratta della descrizione dei luoghi e degli affetti dell’autore – in primis la moglie, le figlie e gli scorci siciliani, in secundis alcune cartoline dei suoi viaggi in Spagna e in Francia – direttamente su pellicola in bianco e nero. Un memoriale vivo e vibrante, che ci consegna una voce più vicina all’uomo che al letterato.

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Precedentemente, in Verismo e fotografia del 1983, mette a punto un passaggio cruciale del suo pensiero:

Per la fotografia, in assoluto, io credo valga una definizione che Paul Valéry ne L’âme et la danse diede della danza: “L’istante genera la forma, e la forma genera l’istante” (L’instant engendre la forme, et la forme fait voir l’instant). Non è un’immagine quasi kandiskyana? Lo spirituale che vivifica la materia. L’aura fotografica, per richiamare l’efficace definizione di Walter Benjamin nella sua Piccola storia della fotografia, è dunque nel movimento, nel ritmo, nell’hic et nunc. Ancora: “La fotografia è la forma per eccellenza: colta in un attimo del suo fluido significare, del suo non consistere, la vita improvvisamente e per sempre si ferma, si raggela, assume consistenza, identità, significato. È una forma che dice il passato, conferisce significato al presente, predice l’avvenire.

Il meccanismo del “fotosmontaggio”

È chiaro che la fotografia non è un mero strumento di registrazione. Negli scatti, frammenti sottratti all’oblio, profanati e insieme religiosamente conservati, si infiamma il suo ruolo di medium espressivo, quello che in termini barthesiani è indicato come punctum. È ripresa (o rappresa?) la traccia dell’esistenza di un oggetto in un tempo indeterminato, sebbene, rispetto all’osservatore, sia decisamente mutata la geografia del mondo esterno. Perché laddove c’è riconoscimento c’è identità. «Cosa è la fotografia se non verità momentanea, verità che contraddice altre verità di altri momenti? Sulla fotografia acutissime cose sono state dette […]. Acutissime: ma si contraddicono. Verissime: ma di momentanea verità». Qui Sciascia ci segnala l’altra faccia della fotografia, la sua potenziale deriva: l’illusione di verità, la menzogna. Il “fotosmontaggio”, così lo chiama, è l’operazione, ora sleale ora salvifica, ma sempre precisa, che l’occhio attua nei confronti di un evento storico e collettivo o di un ricordo personale e intimo. Pertanto, la fotografia non è solo un attestato di presenza, una solida rappresentazione, ma viene ad essere anche un simulacro, un simbolo manipolato, un depistaggio della memoria. E questa altro non è che la danza della vita – e dello sguardo.

Il potere della fotografia secondo Sciascia

Ad ogni passo una conferma e una smentita, il trionfo del relativismo. «Tra le cose magiche che senza magia conosciamo, non si può conferire all’’aleph’ una qualche analogia con l’obiettivo di una macchina fotografica?». La fotografia ha il potere di contrarre il tempo, di assottigliare la ragione, di infondere vicinanza. È una misteriosa energia, è una fuga verso l’ignoto. Ne Gli scrittori e la fotografia del 1988 ribadisce: «Il senso, la premonizione, che la fotografia abbia a che fare con l’identità e la morte. Problemi che il problema del tempo racchiude […]. Siamo sulla soglia dell’inesprimibile». Che vertigine ci assale! Davanti a una fotografia siamo lucidi e al contempo distratti, dentro e fuori si alternano, è un avviluppamento. Ci basta il segno, l’essenza del suo passaggio? Sciascia ci risponde e chiude l’anello: «E comunque verso l’invisibile (attraverso il non plus ultra della visibilità, del visibile) un valico». Contro la bulimia di immagini, ecco un contributo prezioso: il rumore confonde, è in silenzio che si impara a ballare.

Alessandra Savino

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