La pandemia ha innescato una rivalutazione della vita urbana su scala globale, ne siamo sempre più consapevoli, con un numero crescente di persone che fuggono dai confini delle città in cerca di spazi verdi, più vivibili e a misura d’uomo.
Jacopo Greppi, fotografo lecchese, racconta una nuova dimensione dell’abitare. Lo fa attraverso la storia di Barbara e Leonardo, due ragazzi poco più che ventenni che hanno deciso di rivalutare il loro modo di abitare e di lavorare.
Come hai conosciuto Barbara e Leonardo? Com’è nata l’idea?
Ho conosciuto Barbara e Leonardo nelle estati della mia infanzia, trascorse con la mia famiglia proprio a Principina. Sono amici di vecchia data, che capita di sentire durante tutto l’anno. Quando ho saputo che si erano stabiliti a Principina durante tutto l’inverno sono immediatamente stato colto dalla volontà di unirmi a loro. Mosso dal desiderio di passare qualche giorno fuori dal mondo e di raccontare questa realtà alternativa mi sono messo in viaggio.
Ci troviamo in Italia, a Principina a Mare, un’oasi ubicata a pochi chilometri dal Parco Naturale della Maremma. Una delle tante cittadine nate sul sogno delle piccole località balneari che «vantano» una presenza stabile di abitazioni vissute per tre mesi l’anno. Il regno delle seconde case immerso in un contesto naturale che permette una vista fino alle colline dell’entroterra Grossetano.
Ma questa è un altra storia. La storia di Barbara e Leonardo è nel video realizzato da Jacopo, che vi proponiamo qui.
È la storia di due ragazzi che hanno deciso di lasciare la vita cittadina alla ricerca di un’oasi di pace, lì trasferiscono il proprio lavoro e anche tutti i sogni. Principina a Mare diventa il loro luogo sicuro, distante dal caos della quarantena per il Covid-19.
Come ti è venuto in mente questo progetto?
Durante la seconda quarantena mi sono nuovamente scontrato con l’insostenibilità della vita tra i palazzi, fatta di una routine quotidiana che si divideva tra casa, supermercato e università. Principina è sempre stato un luogo di pausa, di distacco, ed in quel momento rappresentava la possibilità di vivere in modo diverso, di fare delle rinunce ma di ottenere indietro delle libertà. Credo che il desiderio di un’alternativa al mondo urbano accomuni tantissime persone, non solo durante la pandemia, per questo ho voluto raccontare la quotidianità di chi alla vita in città ha rinunciato.
Nella storia di Barbara e Leonardo c’è la riscoperta del fattore tempo come crescita; quel tempo che ti permette di evadere dalla quotidianità ma anche di gestirla e di farla crescere, sentendosi partecipi.
Quali sono i motivi che hanno spinto i ragazzi a rimanere a Principina?
A fronte di una realtà dalle evoluzioni incerte, la scelta di prolungare la propria permanenza è figlia di un desiderio di libertà e di semplicità che, in questo momento, solo l’isolamento in un luogo del genere può esaudire.
Nel video i ragazzi si raccontano, come in una confessione intima, e riescono, al microfono di Jacopo, a restituire una scelta strettamente personale ma che riflette un cambiamento che riguarda la vita urbana di tutto il mondo; in questo senso la scelta dei due ragazzi, riesce a parlare a più livelli.
Tante città diverse, prospettive simili
A livello globale la pandemia è responsabile di un drastico cambiamento nel modo in cui il mondo vive e lavora, ma soprattutto al modo in cui il mondo proietta il proprio futuro: in USA secondo i dati di USPS, oltre 15,9 milioni di persone si sono trasferite durante il coronavirus, di cui quasi il 30% in modo temporaneo e il restante in modo permanente. Invece secondo un sondaggio della società di ingegneria britannica Arup la metà degli abitanti delle città a Londra, Parigi, Milano, Madrid e Berlino ha affermato che le chiusure forzate li hanno resi più preoccupati verso temi come il sovraffollamento e l’inquinamento atmosferico.
Avvicinando la scala a Milano, l’emergenza sanitaria, unita a fattori come la gentrificazione di interi quartieri, porta sempre più persone a spostarsi fuori città.
Una questione globale e intima insieme
Tra le cause a livello globale che spingono a questo cambiamento la densità delle città, il costo della vita, la possibilità di spostarsi in aree verdi e di acquistare una casa di proprietà. «La pandemia ha portato sotto i riflettori il modo in cui i nostri ambienti di vita possono essere sconvolti» ha detto Malcolm Smith, leader del design urbano di Arup, aggiungendo che le persone hanno rivalutato l’importanza di vivere vicino a servizi essenziali come negozi e spazi verdi.
Così la domanda sorge spontanea: dove abbiamo sbagliato nel costruire le città? Cosa non avevamo valutato nella globalizzazione della vita urbana? Di sicuro la città come place to be è stata rimessa in discussione, come se le domande poste finora siano proprio sbagliate all’origine.
Alla fine di un lungo vialone c’è Principina – ci sono la solitudine e poche macchine parcheggiate, ma gli animali popolano le strade notturne. Le case sembrano ancora più immobili del solito, le erbe aromatiche che crescono nei dintorni rendono il piatto cucinato ancora più buono. Una scelta temporanea che diventa sempre più definitiva; lo smartworking e poi una corsa per fare pausa in riva al mare, dove il pensiero riesce a scorrere più lento.
Come è stata la scelta del titolo «Principina a Mare, la libertà di essere soli»?
Trovo che riassuma adeguatamente le due tematiche del mio progetto: la vita al di fuori degli schemi della città, ed una libertà che viene dal sacrificio di alcune comodità e, soprattutto, della socialità. Durante il racconto si coglie, tuttavia, che questa apparente solitudine è in realtà meno fredda ed ostica di quella che probabilmente si affronta tra l’ennesima videochiamata tra le mura di casa propria.
Che sia proprio qui la nostra salvezza? Nella riscoperta delle piccole dimensioni di paese? Nel trovare qualcosa da coltivare, che sia un sogno o un pezzo di terra?
Ringraziamo Jacopo Greppi per averci raccontato e mostrato la sua storia. Il nostro invito è di seguire il suo lavoro.
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Fonti esterne: