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Anarchia e rivoluzione: il primitivo e la povertà tra Walter Benjamin e Giorgio Agamben

4 minuti di lettura

Walter Benjamin appartiene alla sfera dei pensatori ebrei che all’inizio del secolo son stati attratti dall’utopia libertaria, impostando delle affinità tra messianesimo ebraico e anarchismo. Sarà proprio la teologia ebraica e l’influsso della corrente messianica a ribaltare la concezione del marxismo ortodosso benjaminiano, agendo sul piano storico.

L’interpretazione volgarizzata del marxismo benjaminiano offre la ricezione di immagini utopiche opposte all’ideologia borghese del progresso lineare, mirando all’emancipazione della classe sociale negata. Nel testo Per la critica della violenza (1921), il pensatore tedesco aveva contrapposto ad ogni violenza creatrice una violenza pura, divina, volta a destituire lo Stato senza ricercare una rifondazione del potere: una violenza destituente senza fine che apre alla possibilità di strutture extra-statali ed entra-giuridiche. Rispondendo a un articolo comparso nell’aprile del 1921 sul Journal of Religious Socialism, che proponeva una critica della concezione anarchica dello sciopero generale, Benjamin si esprimeva così:

Uno dei compiti della mia filosofia morale è illustrare questo punto di vista, nel quale trova indubbiamente posto il termine anarchismo. Esso si richiama a una teoria che pur non escludendo in sé il diritto morale alla violenza, lo preclude a qualunque istituzione umana e a qualunque ambito collettivo o individuale che pretenda di arrogarsene il monopolio o che si riservi il diritto di esercitarla in nome di un qualche principio generale o di qualsiasi altra prospettiva, invece di mostrare reverenza nei suoi confronti in quanto espressione della provvidenza del potere divino, che in taluni casi si manifesta come potere assoluto [1].

L’iter anarchico di Benjamin

La prima tendenza di Benjamin al rifiuto radicale delle istituzioni stabilite è, ancor prima del marxismo, l’anarchismo, che emerge visivamente in Strada a senso unico (1928) [2], dove l’unica corrente rivoluzionaria menzionata è l’anarco-sindacalismo, che assoggetta la sua vita privata alle norme che vorrebbe fossero le leggi di un futuro stato sociale. Sarà però il testo Il Surrealismo (1929) a costituire il documento più importante di stampo marxista-liberatorio, mettendo in evidenza come gli scrittori surrealisti abbiano fatto saltare in aria l’ordine morale borghese, pur non abdicando alla sua tendenza “magica” [3]. Quella che Benjamin va a delineare è una sorta di utopia rivoluzionaria che richiede la riscoperta di un’esperienza antica, nonché il matriarcato, il comunismo primitivo, dunque la comunità priva di classi e di Stato, in armonia con la natura. Vada da intendersi, come evidenziato da Löwy, che il ritorno al passato debba essere inteso come ‹‹un ritorno al passato verso un nuovo avvenire, che include tutte le conquiste della modernità dal 1798›› [4].

Uso e povertà: la messa in questione del diritto tra Benjamin e Agamben

Costruzione e distruzione divengono sia in Benjamin che in Agamben i principali fattori che determinano la vera esigenza necessaria nella società all’interno della quale viviamo, ed è proprio per tale ragione che per Benjamin la condizione di un bene non può essere un possesso. Giorgio Agamben lo ribadisce in Altissima povertà, affermando che il francescanesimo può essere recepito come ‹‹il tentativo di realizzare una vita e una prassi umana assolutamente al di fuori delle determinazioni del diritto›› [5].

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La povertà, in quest’ottica, diviene la ‹‹relazione con un inappropriabile; essere povero significa: tenersi in relazione con un bene inappropriabile›› [6]. Pertanto, se in Benjamin la giustizia è la condizione di un bene che non può diventare possesso, allora diviene decisiva la prossimità fra povertà e giustizia: esse mettono in questione l’ordine stesso del diritto in quanto fondato sulla possibilità dell’appropriazione. Nella lettura agambeniana, ciò che manca all’essere umano non è il necessario, bensì il non-necessario, e dal punto di vista giuridico l’idea dei francescani è la separabilità dell’uso dalla proprietà.

Anarchismo e comunismo in Benjamin e Agamben

Agamben definisce l’anarchia come il tentativo di separare l’origine dal comando, per raggiungere una pura origine: ‹‹l’anarchia mi è sempre parsa più interessante della democrazia, ma va da sé che ciascuno è libero di pensare come crede›› [7], dal momento in cui non vi è un’archè per il comando, perché è il comando stesso ad essere archè, origine. La rivoluzione, pertanto, come Benjamin mostra, non è il coronamento dell’evoluzione storica, ma la netta interruzione della continuità storica della dominazione, facendo del vuoto giuridico, così come nel francescanesimo, una sottrazione radicale della vita alla sfera del diritto. Ne consegue, per Agamben, che la legge naturale prescrive agli uomini di avere l’uso delle cose necessarie alla loro conservazione, non obbligandoli però alla proprietà.

benjamin e agamben
Disegno di Dio, Paul Gauguin, 1894

Benjamin recupera l’idea di Bachofen di una “società comunista all’alba della storia” che si serve del concetto di rivoluzione come balzo perpetuo fuori dalle barbarie che si producono nella storia, manifestando una visione del mondo, una protesta culturale contro il disincantamento capitalista e contro la moderna civiltà borghese in nome dei valori primitivi di non-proprietà. Benjamin compie questo balzo correggendo il materialismo dialettico con il materialismo antropologico e viceversa, ridando spessore all’espediente rivoluzionario e alla sua emancipazione, facendo convergere l’anarchismo con il comunismo.      

Il nucleo di fondo del pensiero mostra, ad oggi, la necessità e l’urgenza non di conservare, ma di compiere e destituire il tempo, declinandolo in una specie di temporalità messianica, non lineare, che possa riscattare le classi oppresse, facendo così saltare il continuum storico che tende ad onorare solo i vincitori e la ricchezza delle vittorie in loro possesso, ripristinando una società primitiva “dal basso” nell’armonizzazione tra società e ambiente naturale. Le lotte di liberazione del presente sono allora ispirate al sacrificio delle generazioni sconfitte, dalla memoria che si ha del passato e dal recupero di essa nell’ora attuale.

Paola Puggioni


Fonti:
[1] W. Benjamin, Gesammelte Schriften, VI, 1985, p. 106.
[2] W. Benjamin, Strada a senso unico, Einaudi, Torino, 2006.
[3] W. Benjamin, Il Surrealismo, in Opere complete. III, Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino, 2010.
[4] M. Löwy, La rivoluzione è il freno di emergenza. Saggi su Walter Benjamin, Verona, Ombre Corte, 2020, p. 66.
[5] G. Agamben, Altissima povertà, Neri Pozza, Vicenza, 2011, p. 137.
[6] G. Agamben, Creazione e anarchia. L’opera nell’età della religione capitalista, Neri Pozza, Vicenza, 2017, p. 68.
[7] Ivi, p. 95.

Immagine di copertina: Alle origini dell’arte. Paesaggio in verde con mura detto Costruzione Boschiva, 1919, Paul Klee

 


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