«Riesco quasi sempre a cavalcare sia la realtà che l’immaginazione. La mia realtà ha bisogno dell’immaginazione come una lampadina ha bisogno della presa. La mia immaginazione ha bisogno della realtà come un cieco ha bisogno del suo bastone».
Tom Waits
È il 4 ottobre 1957 quando per la prima volta un segnale proveniente da un satellite lanciato dall’uomo nello spazio, lo Sputnik 1, viene raccolto sulla Terra. Da subito è visto come un trofeo della supremazia tecnologica dell’uomo ed è anche l’inizio dell’era delle attività spaziale, dei sogni con il naso all’insù. Siamo in piena guerra fredda e la risposta allo Sputnik 1 che si preannuncia, è la stessa corsa internazionale allo spazio che la nostra memoria collettiva assegna al 19 luglio 1969.
Qualche anno prima, nel 1964, la corsa internazionale allo spazio è all’apice della sua corsa, anche nell’Africa nera. In quello stesso anno infatti, un professore di scienze dello Zambia, Edward Makuka Nkoloso, decide di sfidarsi e di sfidare i sogni del popolo africano. Il suo scopo è addestrare la prima squadra di africani con un solo obiettivo: raggiungere la Luna.
Lo Zambia da pochi mesi ha conquistato l’indipendenza dal Regno Unito e sempre in quel periodo viene fondata la prima agenzia spaziale del paese.
Per l’operazione recupera un campo di addestramento di una fattoria abbandonata poco distante da Lusaka proprio per addestrare i suoi tirocinanti che, per essere preparati all’assenza di gravità, rotolano giù da una collina all’interno di un grosso contenitore per il petrolio da 44 galloni.
Dal 1960 fino al 1969 questo programma è completamente indirizzato al varo di un razzo con a bordo una ragazza di 17 anni, Matha Mwambwa, e due gatti con il sogno che lo Zambia diventi il controllore dello spazio interstellare.
Il razzo D-kalu 1, chiamato così perché era un vaso sagomato fatto di alluminio e rivestito di rame.
Il lancio previsto per il 24 ottobre 1964, giorno dell’indipendenza, viene negato proprio per l’impossibilità della missione stessa. Un sogno infranto che non smette di rimanere vivo in Edward Nkoloso, che non demorde e chiede all’Unesco una concessione di 7.000.000 libbre zambiane per portare a termine il suo programma spaziale, che rimane in sospeso.
Il termine Afronauts coniato dallo stesso ideatore, si riferisce ai partecipanti questo programma.
Le grandi aspettative, tra sogno e realtà rimangono vive per qualche anno, fino a che Nkoloso afferma il fallimento del programma, dovuto alla mancanza di fondi e alla gravidanza dell’astronauta Matha Mwambwa. Il governo zambiano piano piano si distanzia dallo sforzo di Nkoloso e il razzo viene sabotato.
Qual è il confine che c’è tra fantasia e finzione? E se c’è, quanto è labile?
Proprio su questo sottile confine, che intercorre tra realtà e finzione, tra verità e veridicità si muove il libro autopubblicato di Cristina de Middel.
Fotogiornalista spagnola classe 1975 vive ora tra le vie londinesi e mantiene i rapporti con il suo paese d’origine. Da oltre otto anni collabora con numerosi quotidiani spagnoli e affianca spedizioni delle Organizzazioni Non Governative come Medici Senza Frontiere o la Croce Rossa spagnola. Al lavoro di fotogiornalista, presente nei suoi lavori in occasione di diverse mostre premiate in svariate occasioni (tra cui il Sony World Photography Awards, il PhotoFolio Arles 2012), accosta una visione del tutto personale e affina la sua produzione negli anni. Ama giocare con il linguaggio fotografico, ricostruendo documenti e creando archetipi che attenuano i confini tra realtà e finzione.
«Come fotoreporter sono sempre attratta dalle linee eccentriche della narrazione evitando i soliti vecchi temi raccontati negli stessi vecchi modi. Con i miei progetti personali, rispetto la base della verità, ma mi permetto di rompere le regole della veridicità cercando di spingere il pubblico ad analizzare le storie che consumiamo come reali».
Cristina de Middel
Il suo racconto è eccentrico, accompagnato da falsi materiali di archivio e da messe in scene completate da un tocco di ironia. Il tessuto documentaristico qui si confonde facilmente con la fantasia, senza alterarne il senso in un percorso narrativo sorprendentemente variopinto.
Affianca al suo lavoro di fotoreporter una produzione che mira a mettere in discussione il linguaggio fotografico e la veridicità della fotografia come documento.
Afronauts è storia realmente accaduta riscritta in una chiave interpretativa tutta personale. Come se fossero parte di un racconto, fatti e finzioni si intrecciano in un continuo scambio in grado di sfidare la percezione dello spettatore.
Da uno dei tanti libri autoprodotti si trasforma in un breve lasso di tempo in uno dei libri fotografici migliori del 2012. Una vera e propria rivelazione stampata in pochi esemplari dalla stessa de Middel. L’apice del successo per questo suo progetto è il premio Deustsche Börse che le fa raggiungere la rosa dei vincitori.
«Afronauts si basa sulla documentazione di un sogno impossibile che vive solo nelle immagini. Sono partita da un fatto reale che ha avuto luogo 50 anni fa ed ho ricostruito i documenti adattandoli al mio immaginario personale».
Cristina de Middel
La fotografa spagnola, con la giusta dose di delicatezza e ironia, si fa promotrice di un sogno mancato, aggirandosi tra astronauti in addestramento, velivoli spaziali di fortuna e grandi pachidermi entro un paesaggio le cui sembianze lo fanno rassomigliare a quello africano.
Messe in scena curate nei minimi particolari, scelte per rappresentare un sogno condiviso.
Il formato del libro non è lasciato al caso e riflette nelle sue pagine la natura improvvisata del sogno spaziale di uno stato come lo Zambia. L’elemento fantastico è vertebratore dell’intero progetto e riveste un ruolo primario quando finisce per tessere gli spazi vuoti che intercorrono tra le effettive possibilità e il sogno. Lo spirito audace dei sogni qui viene celebrato e le caratteristiche che essi hanno sono messe in risalto, è messo in risalto l’essere sfuggevole ai limiti delle circostanze.
L’escalation di immagini è piacevole e sembra si confonda tra nostalgia e simpatia.
«Dell’Africa ci vengono spesso proposte raffigurazioni post-coloniali e condiscendenti – spiega Cristina de Middel – io ho voluto dimostrare che, sebbene talvolta non condividiamo lo stesso livello di progresso tecnologico, tuttavia abbiamo gli stessi sogni».