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Tutto è bene quel che finisce bene…
Berlino permettendo

4 minuti di lettura

economia-2015-06-grecia-tsipras-referendu-bigTra il 12 e il 13 luglio si sono aperte le porte del dialogo tra Alexis Tsipras e i creditori, sulla base di accordi, che, non solo per la minoranza interna a Syriza, erano ben più rigidi di quelli proposti dalla Commissione Europea prima dell’ormai celebre 30 giugno. Il 20 di Agosto il parlamento tedesco approva, nonostante l’opposizione di una parte del partito della cancelliera Angela Merkel, il piano di salvataggio, ossia vengono sbloccati i fondi dell’ESM per il terzo bailout greco. Poche ore più tardi Tsipras rassegna le dimissioni e vengono indette le elezioni per il 20 settembre 2015. Per la terza volta in un anno i greci sono chiamati ad esprimere quella che, a detta di molti, è ormai una stanca e logorata palestra democratica, ben lontana dalla ginnastica rivoluzionaria di Georges Sorel. La parabola si è chiusa – o meglio, forse non è mai stata aperta – nonostante le flebili speranze di una cordata socialdemocratica europea che avrebbe dovuto soccorrere il compagno Alexis e il futuro del modello sociale europeo. Tutto questo non è accaduto ma, dovremmo dire, forse lo si sapeva già nel 2012 quando tutti i paesi dell’eurozona firmavano la nascita di uno dei più controversi istituti finanziari, frutto di un accordo intergovernativo, che univa gli stati dell’eurozona, dal roboante quanto rassicurante nome di Meccanismo Europeo di Stabilità. Il nuovo istituto finanziario, il cui acronimo MES tanto ricorda il dannunziano MAS (Memento Audere Semper), è stato effettivamente un azzardo, morale per qualcuno che ha parlato, non a caso, di Moral Hazard, in quanto si pone ai limiti della legislazione europea. Ma come funziona il MES e perché è tanto importante comprendere a fondo le dinamiche, la struttura del suo funzionamento per capire l’evoluzione e gli esiti della crisi greca?

Sia chiaro, è evidente che la spiegazione che cercheremo di dare non ha lo scopo di dare una lettura deterministica degli eventi politici, che hanno occupato giornali e media, tra cui Il fascino degli Intellettuali, che si è speso nel cercare di spiegare e dare una prospettiva dei possibili scenari politici all’orizzonte. Si tratta comunque di un’analisi necessaria per capire, ora che i giochi si sono chiusi, qual era il potere contrattuale delle due parti in gioco, da un alto l’ex Trojka e la Germania, e, dall’altro, il governo di Atene.

ESM2012Certamente si è sentito parlare del MES tre anni fa, quando il 12 settembre 2012 la Corte costituzionale tedesca aveva rigettato le istanze cautelari proposte al fine di inibire la ratifica da parte della Germania del Trattato che istituisce il Meccanismo di Stabilità Europeo (“ESM”) e del Trattato sul c.d. fiscal compact e la promulgazione delle rispettive leggi di approvazione. Il giorno successivo alla lettura della sentenza, il Presidente della Repubblica federale tedesca, Joachim Gauck, aveva sottoscritto i due trattati.

Ma andiamo con ordine. Il MES ha come base giuridica il paragrafo 3 dell’art. 136 TFUE [3], introdotto dalla Decisione del Consiglio 2011/199/UE del 25 marzo 2012. Esso viene creato in seguito al cosiddetto European Financial Stability Mechanism, istituto temporaneo, dalla durata di tre anni, creato per garantire liquidità agli stati membri in difficoltà. Il MES è un istituto finanziario con sede in Lussemburgo, il cui budget è formato dal contributo degli Stati Membri, in proporzione alle loro capacità. La Germania vi partecipa per il 27%, la Francia per il 20% e l’Italia per il 18%. La disponibilità potenziale di questo fondo arriva fino a 700 miliardi di euro, di cui solo una minima parte sono stati realmente versati dagli Stati membri.

Gli stati in difficoltà possono fare domanda diretta alla commissione europea, la quale vaglia la domanda con il FMI e la BCE, e, a quel punto, la richiesta di aiuti viene presa in considerazione dal gruppo dirigente, formato da rappresentanti degli stati membri in proporzione al loro contributo economico al fondo. Ogni decisione di aiuti deve essere approvata da almeno l’80% dei votanti, il che, come possiamo capire, dà alla sola Germania il potere di veto su ogni decisione. Non solo, ma il potere contrattuale dei tedeschi viene incrementato da altre due clausole che sono state poste proprio al momento di accettazione del MES da parte della Corte Costituzionale Tedesca. I giudici tedeschi avevano infatti posto le seguenti due condizioni alla ratifica:

(a)« l’impegno finanziario della Germania derivante dal Trattato sul MES non può eccedere il capitale sottoscritto, poco più di 190 miliardi di Euro, a meno che non vi sia un voto espresso del Parlamento tedesco che sancisca il superamento di tale limite»;

(b)« l’obbligo di riservatezza sui lavori del MES non si applica nei confronti del Parlamento tedesco (Bundestag e Bundesrat), che dovrà sempre essere preventivamente informato».

Insomma, viene ribadito il principio per cui la Germania non può sottoscrivere accordi internazionali che abbiano conseguenze di bilancio non prevedibili, imprecisi o non calcolabili. Il Bundestag, dunque, dovrà approvare ogni singola misura di importo particolarmente ampio decisa in ambito internazionale o in ambito UE che comporti oneri di bilancio. Al tempo stesso, il Parlamento dovrà poter esercitare un controllo sulle modalità di applicazione di tali misure. Diversi commentatori, tra cui Yanis Varoufakis nel suo The global Minotaur, hanno parlato di Unione Fiscale Asimmetrica, che va a svantaggio degli Stati più deboli e con una economia prevalentemente legata al mercato interno, leggasi Grecia, e a vantaggio degli Stati più grandi, in particolare ad economia improntata sull’export, leggasi Germania.

Se da un lato la Germania si è ritagliata una posizione dominante nel decidere come distribuire i soldi per il salvataggio degli Stati in difficoltà, senza che ciò comporti conseguenze impreviste sul bilancio interno tedesco, d’altra parte si riserva di esercitare influenza diretta sulle politiche fiscali interne degli Stati “da salvare”. La novità infatti del MES è che gli Stati che richiedono aiuti sono obbligati ad adottare precise misure fiscali interne, pena l’espulsione dalla possibilità di partecipare alle decisioni del MES e il blocco dei fondi di salvataggio. Ed è chiaro che le misure richieste sono quelle che vanno in un’unica direzione, quella tedesca: austerità. La follia dell’austerità espansiva, come strumento di uscita dalla crisi, è stata così imposta a tutta l’eurozona, senza che nessuno stato, come singolo, possa opporre resistenza. Tanto meno la Grecia che, con la sua infima percentuale di partecipazione al MES, poteva sperare solo nell’appoggio di Italia e Francia, che, per quanto non sarebbe stato sufficiente a superare il potere tedesco sul piano numerico. avrebbe perlomeno avuto un importante significato politico. Questo aiuto non c’è stato e Wolfgang Shäuble ha avuto gioco facile nell’applicare semplicemente le regole.

Come hanno scritto Gian Paolo Caselli e Gabriele Pastrello: «È l’austerità, bellezza!»

oxi referendum austerity

 

 

 

Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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