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Alcibiade, l’eccentricità dell’impolitico

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Alcibiade visse e operò alla fine del V sec. a.C. in Grecia. Da parte di madre era degli Alcmeonidi, la famiglia aristocratica più prestigiosa e autorevole dell’intera Attica. Era la famiglia di Pericle, di cui Alcibiade era nipote. Prima dei trent’anni era già protagonista della scena politica ateniese. Tratti essenziali della sua persona erano la bellezza fisica e la grande intelligenza tattica e strategica. Fu allievo del sofista Gorgia e di Socrate, al quale era legato da una forma d’amore (eros). Le testimonianze letterarie a noi pervenutaci che parlano di lui sono Il Simposio di Platone, nel quale compare come personaggio, la Guerra del Peloponneso di Tucidide, e la Vita di Alcibiade di Plutarco

Alcibiade

Sebbene dedito ai piaceri e agli eccessi alcolici ed erotici, Alcibiade era, sì, un anticonformista, ma possedeva tratti simili a qualsiasi leader politico aristocratico dell’Atene del V secolo: era colto, era un rhetor persuasivo, parlava con destrezza e disinvoltura, sapeva far fruttare la propria intelligenza tattica. Ciò che fece di lui una figura eccezionale fu il fatto che, ancor più di Pericle, Alcibiade ricercò l’efficacia della propria attività politica nel personalismo che portò a svolte decisive. 

Pur non avendo la forza persuasiva della leadership dello zio, era convinto che la cautela timorosa e la via della moderazione diplomatica (tipica della sua controparte politica in Atene, Nicia) non fossero utili a compiere grandi gesta. Alcibide era un individualista radicale; tuttavia, né tirannico né democratico, era piuttosto apolis, ovvero l’eccentrico per eccellenza nel contesto politico-sociale ateniese del suo tempo, fondato sulla appartenenza a una comunità con precise regole e codici di condotta: le liturgie della democrazia, i rituali, e i sacrifici. Si può dire che radicalizzò, in chiave di personalismo politico, il requisito fondamentale dell’uomo libero greco della pólis, riconosciuto, tra gli altri, anche da Hannah Arendt: la capacità di parlare in pubblico e di compiere grandi gesta. 

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A ben vedere, però, Alcibiade, più che il prototipo del politico della pólis, fu un impolitico, fu colui che “scavalcava la pólis” ponendosi in uno stato di superiorità rispetto alle istituzioni. Caso esemplare in questo senso furono gli eventi della spedizione in Sicilia del 415 a.C., da lui incoraggiata, che aprì la seconda fase della Guerra del Peloponneso, e che portò Atene ad intervenire militarmente in soccorso di Segesta. Il ceto politico dominante decise di nominare stratego per il comando dell’operazione Nicia, superstizioso e timoroso dal carattere mite, perché temeva l’ambizione e l’imprevedibilità di Alcibiade.

Erano le élite aristocratiche al comando di Atene a temerlo, non il contrario. Per tentare di liberarsi di lui i politici ateniesi ordirono un complotto ai suoi danni, per farlo avere in odio al popolo (che, sulla carta, aveva ottenuto con Pericle il potere di incriminare e processare qualsiasi leader politico): fu denunciato come responsabile della mutilazione delle sacre effigi di Hermes poste ai crocicchi della città (Scandalo delle Erme) e accusato di empietà per aver parodiato e rivelato in una festa privata “nell’ebbrezza del vino” – riferisce Plutarco – il più elevato, autorevole, e sacro rito religioso dell’antichità: i Misteri Eleusini (ai quali Alcibiade partecipava come adepto). Fu quindi richiamato mentre combatteva a Catania per essere processato dall’Eliea. Tuttavia, il fatto creò dubbi e confusione “nella gente assennata” (Vita Alc. XX, 8) 

Alcibiade

Alcibiade rappresentava una minaccia per la sua intraprendenza e per il suo disprezzo della tradizione e della mediocrità cittadina. Ma soprattuto per la sua abilità nel sapersi muovere in modo efficace pur non rispettando le regole politiche di nessuna delle comunità del suo tempo. Era un mostro esemplare e superdotato, in grado di oltrepassare tanto il rango di cittadino comunemente riconosciuto ai membri della pólis attica quanto le gerarchie e le istituzioni politiche persiane e spartane. Eccedeva persino la figura-limite del consigliere privato.

Per sottrarsi al processo, dapprima Alcibiade si rifugiò a Turii (città calabra fondata dallo zio Pericle sul sito della distrutta Sibari) con la scusa di fare rifornimento; poi fece perdere le sue tracce, rifugiandosi in Elide e, infine, a Sparta. Ad Atene fu condannato a morte in contumacia, gli vennero confiscati tutti i beni e fu fatto maledire da tutti i sacerdoti. D’altro canto, nonostante i preziosi suggerimenti decisivi per le sorti della guerra fornite da Alcibiade agli Spartani, il re Agide e altri Spartiati, lo temevano altrettanto.

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Eppure fu Alcibiade, attraverso il rapporto personale con il satrapo Tissaferne, a condurre le trattative con i Persiani che procurarono a Sparta le finanze necessarie per costruirsi una flotta in grado di rivaleggiare con quella ateniese, senza la quale gli esiti della guerra poloponnesiaca sarebbero stati diversi, se non opposti. I disordini politici in Atene a partire dal 411 portano addirittura gli Ateniesi a invocare il ritorno in patria «del più valoroso generale della città» (Vita Alc. XXXVIII 1-2). Nell’anno 407, in seguito ai consigli forniti alla città, che le fecero avere la meglio nella battaglia di Cizico, Alcibiade venne addirittura rieletto stratego ad Atene.

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Con la sua tempra grintosa ed eccentrica Alcibiade, sfidando i costumi e violando le regole del gioco, riuscì a determinare le sorti di un conflitto epocale come la Guerra del Peloponneso (che arrestò il dilagante imperialismo di Atene). L’alcmeonide si seppe creare una rete internazionale di relazioni private inusitata, che coinvolgeva Sparta e Persia, pur mentendo contatti con dei fedeli in Atene anche dopo aver disertato.

Alcibiade

Al tempo dei Trenta tiranni, Crizia fece intendere a Lisandro che Sparta non avrebbe potuto esercitare l’egemonia sull’Ellade fintanto che Alcibiade fosse rimasto vivo. Il generale spartano, protagonista dell’ultima fase del conflitto, inviò, quindi, un messaggio al satrapo Farnabazo con l’indicazione di eliminarlo. In quel momento Alcibiade si trovava in un villaggio in Frigia. I sicari diedero alle fiamme la sua casa, egli uscendo illeso con il pugnale in mano, alla sua vista nessuno oso avvicinarsi per affrontarlo: da lontano gli scagliarono frecce e giavellotti. 

Alcibiade, con il suo stile di vita dissoluto e la sua geniale intelligenza, osannato ed esecrato, è senza dubbio passato alla storia come il polo straordinario ed eccentrico della storia politica antica. Un esempio di personalismo politico sui generis, che non mirava a raggiungere il potere in una delle parti, ma all’oltrepassamento dei limiti costituiti, riuscendo a mostrare come tale superamento fosse possibile. 

 


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Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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