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Il grande bluff

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3 minuti di lettura

Donald Trump esce, al termine dei 4 anni della sua presidenza, aumentando i consensi (è passato dai 62 milioni di voti delle precedenti elezioni a 71 milioni nel 2020). Ma qual è la sua strategia? Perché raccoglie ancora, pure dopo una controversa presidenza, tale affetto?

I presunti brogli

I fatti anzitutto. Il 3 novembre si sono tenute le elezioni presidenziali negli USA e l’aspro scontro tra Biden e Trump ha visto come vincitore Joe Biden per, bisogna dirlo, una manciata di voti (5 milioni su un bottino di 147). Il presidente uscente Donald Trump ha già annunciato di avere intenzione di procedere per vie legali contro non meglio chiariti brogli che, a suo dire, gli “hanno strappato la vittoria”. Aldilà del ritratto di un’America spaccata, da questo risultato esce un altro dato. Trump non è affatto morto politicamente, o meglio non è così morto come lo si credeva o voleva. Il fenomeno del “trumpismo” che ha avuto imitazioni anche all’estero, da Farage a Salvini, non sembra quindi essere del tutto finito. Viene da chiedersi quindi come può Donald Trump essere ancora, dopo i 4 discussissimi anni di presidenza, così popolare.

Un giocatore d’azzardo

Trump ha giocato per 4 anni a poker con l’informazione mondiale, bluffando. Per 4 anni ha diffuso notizie ora false, ora semi-vere ma mistificate, consapevole che la sua strategia l’avrebbe portato alla vittoria. A lui interessava e interessa solo essere preso sul serio, perché è in quel momento che, come il giocatore, vince. Dal virus di laboratorio al certificato di nascita di Obama, ai messicani delinquenti al riscaldamento globale al disinfettante contro il coronavirus fino all’accusa di brogli, tutto ci parla di un uomo che ha sapientemente legittimato notizie palesemente false facendo sì che queste arrivassero alle orecchie di chi voleva sentire esattamente questo.

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Senza un soldo in tasca, polarizzando e creando baraonda nel panorama mediatico, è riuscito a costruire un impero. Ha individuato un diffuso disagio economico-sociale di buona parte degli americani, che affonda radici in tutti i campi della cultura occidentale. Da buon venditore l’ha compreso e ha dato loro, attraverso occhiolini per gli estremisti e polarizzazioni per i moderati, esattamente quello che volevano: capri espiatori, soluzioni grossolane, teorie del complotto. In poche parole sogni, fuffa, la cui veridicità perde importanza.

Trump e la post-verità

 Il suo gioco politico sul filo del rasoio, tra vero e finto, si fa disvelatore di uno dei più grandi fenomeni del nostro secolo: la post-verità. Siamo nell’epoca della post-verità, e ciò vuol dire che, per via di stili di vita sempre più frenetici, di un sistema scolastico approssimativo e a causa del sempre più largo, superficiale e libero uso di internet e dei social network, di una notizia non interessa più la veridicità, ma il modo in cui viene accolta. Se viene accolta come vera è vera, anche se non lo è, o è come se lo fosse. Ed è su questo sofisticato meccanismo che si basa il bluff del giocatore Trump.

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Una volta che annuncia una cosa e viene preso sul serio, la notizia giunge a una determinata audience e quella notizia, pur non essendola, viene considerata come vera. E il banco vince. “The Donald” ha giocato a poker con la morte puntando sempre di più, con proseliti non solo a destra. Finora ha danzato su un campo minato, ma quest’ultimo azzardo, questo all in, potrebbe essere l’ultimo.

Un fenomeno diffuso

Quello che è sicuro, è che dietro i voti di Trump c’è qualcosa di più. Il tycoon ne è il massimo esponente, ma la post-verità è un fenomeno che rimane indipendentemente da lui e che influenza e ha influenzato quasi tutta la comunicazione politica degli ultimi anni. È bene tenerlo d’occhio perché le sue manifestazioni possono essere ridicole (sullo stile delle bufale alla Pappalardo) o subdole: ogni audience, ogni target, è settorializzato e coperto. La politica, che ragiona sempre più in termini commerciali, crea appositi “sistemi” di pensiero, vere e proprie bolle nelle quali ci muoviamo e che ci portano a cadere in continui bias di conferma. La vera sfida che l’informazione e la politica, rapportandosi coi social, è proprio quella di sfuggire a tutto ciò. Perché è questo, insieme ad un’informazione e ad una politica non all’altezza, ad aver portato a momenti impensabili, come la presidenza di Trump.

 


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