Cosa si può cogliere nel discorso dell’altro, del non-adulto, del ‘discente’? Sono le ‘categorie’ ad arrogarsi il diritto di nominare – l’antropologo, il maestro, il genitore circoscrivono spazi di convenienza, ri-ordinano dati predisposti ab origine. Gianni Rodari (1920-1980) ha lottato per tutta la vita contro i luoghi comuni. La sua idea di letteratura – che è poi un’idea di mondo, condensata e potenziata – rifugge schemi e rigidi impianti, svela l’inganno del compromesso, la fragilità della mimesi.
È un errore pensarlo fermo alla ‘serie cadetta’[1], prigioniero di un mondo da lui sovvertito in nome dell’incontro fra ‘ruoli’, del rifiuto di questi. Giornalista, filastrocchiere, «collaudatore di nuove esperienze della parola»[2], Rodari è un intellettuale totale, anticipatore dell’esperienza multimediale e dei ‘generi rimescolati’ (blurred genres). Tutto, nella sua opera, rivela un’attrazione per il sabotaggio – delle convenzioni, dei rapporti uomo-uomo (o donna-uomo; o donna-donna) – e tutto è intrecciato con il rifiuto delle istanze.
Chi era Gianni Rodari?
Gianni Rodari nasce a Omegna nel 1920. Figlio di un fornaio amatissimo («L’uomo che chiuse gli occhi per non vedermi vestito da Balilla»), cresce introiettando la malinconia del Lago d’Orta, tempra il carattere nelle difficoltà familiari, in rapporti sbilanciati con una madre severa, che fa la domestica «in casa d’altri e in casa nostra». Destinato al seminario cattolico di San Pietro Martire di Seveso, lascia la vita (pre)ecclesiastica per iscriversi alle magistrali.
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Abbandonata la facoltà di lingue, insegna nelle scuole di Brusimpiano, Ranco e Cardana di Besozzo maturando una visione ‘atletica’ dell’infanzia, aperta all’osmosi fra contenuti ludici e pedagogici, centrata – en entier – sul carattere attivo del bambino. Esentato dal secondo conflitto mondiale, richiamato obtorto collo dalla Repubblica Sociale, diviene partigiano nel 1943 – clandestinamente impegnato nelle valli lombarde. Celebre il suo racconto del lasciapassare concesso a Sironi, firmato – nobilmente – «in nome dell’arte»:
Non dissi al comandante della brigata quelle tali cosette. Gli avevo appena consegnato John Emery, il supertraditore inglese […]. Per un Emery uno si può tenere un Sironi. […] Non c’è pittore che valga i suoi quadri.
L’iscrizione al PCI l’anno successivo segna l’approdo all’Ordine nuovo di Varese (1945) e all’Unità di Milano (1947) nella sezione cronaca, palestra d’elezione per il suo metodo ‘visivo’. La contigua esperienza a La domenica dei Piccoli getta – o piuttosto svela – le basi della sua produzione: testi come Susanna e Ciccio contengono in nuce alcuni fra i temi più cari del Rodari ‘affermato’, dall’importanza del dialogo allo svincolo da ipoteche pedagogiche. Fondatore del Pioniere nel 1950, viene scomunicato dal Vaticano dopo la pubblicazione del Manuale destinato ai bambini dell’API, rei di ricevere un’educazione sovversiva e ‘sconveniente’. Dopo una lunga seri di collaborazioni, accetta l’incarico a Paese Sera (1958) per poi occuparsi di programmi RAI e BBC, tutti ispirati alla creatività da esplorare. È in questo nucleo – nell’invenzione ‘attiva’ come pensiero divergente – che sta l’unicità della poetica rodariana.
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Profondo sovvertitore dei canoni, l’autore deve la (ri)scoperta critica al Premio Andersen del 1970, suggello definitivo di una ‘carriera’ ricchissima. Tra le opere pubblicate si pensi a: Il romanzo di Cipollino (1951), Cipollino e le bolle di sapone (1952), Le avventure di Scarabocchio (1954), Il viaggio della freccia azzurra (1954), Gelsomino nel paese dei bugiardi (1958), Favole al telefono (1962), Il libro degli errori (1964), La torta in cielo (1966). Se La grammatica della fantasia (1973) si pone come riflessione totale sulla creatività, i testi succitati disegnano un percorso a tappe, ‘teso’ sui binari della protesta civile. Intendiamo affrontarne tre, scelti per il valore di summa e il messaggio di fondo.
Per iniziare: «Il libro degli errori» (1964)
Difficile non lasciarsi scuotere da alcuni passaggi del Libro degli errori (Einaudi, 1964). Rodari confeziona un testo che parte dalla grammatica ma trascende i confini del manuale, ponendosi piuttosto come abbecedario di un’esistenza ideale. Fine osservatore dei ‘margini’ – dell’universo sociale e ambientale – l’autore si propone di «giocare con gli errori» al fine di mostrare la verità che giace al fondo delle cose. Una consonante scempia può sovvertire il mondo, ma esistono anomalie ‘reali’ sulle quali è difficile intervenire per tempo.
«Il mondo sarebbe bellissimo se ci fossero solo i bambini a sbagliare», e allora questo libro è – anche – per i «padri di famiglia», per «le madri, per i «maestri di scuola» e per tutti coloro che «hanno la terribile responsabilità di correggere […] i più piccoli e innocui errori del nostro pianeta». Se la realtà si misurasse in ortografia non avremmo bambole più ‘ricche’ dei bambini, uomini migrati al Nord per lavorare e una terra divisa in confini economici. Dall’altro lato l’errore sa essere divertente, come ogni smarginatura può conferire al reale un carattere di unicità (si pensi alla torre di Pisa). Una pronuncia errata causa certo incidenti; un ‘cane’ toscano è un mammifero senza testa, eppure «vivere senza testa / non è il peggiore dei guai: / tanta gente ce l’ha / ma non l’adopera mai». Rigettando l’idea della correzione canonica – a tratti persino punitiva – Rodari conduce i lettori in un universo di ‘strappi’, individuando nel gioco lo strumento più idoneo all’effettivo rammendo.
Per proseguire: «Tante storie per giocare» (1971)
Tante storie per giocare (Editori Riuniti 1971, Einaudi 1977) è il frutto di un’esperienza radiofonica compiuta tra il 1969 e il 1970. Presenta venti storie incomplete, sguarnite – dunque – di un finale preconfezionato, rimpiazzato abilmente da tre proposte non vincolanti. La peculiarità del testo risiede nel ‘cerchio creativo’ suggerito dall’autore: «Il lettore legge, guarda, riflette, e se non trova un finale di suo gusto può inventarlo, scriverlo o disegnarlo egli stesso». Il processo partecipativo – tanto novecentesco nel suo carattere intermediale – è certo espressione di un intento sovvertitore, retto dall’ironia e dal rifiuto del ‘già dato’.
Attraverso la ri-combinazione di temi e motivi (lettere, parole, ovvietà da smontare) Rodari propone una riflessione sul vivere civile, invita i ragazzi alla scoperta dell’altro, stimola – e ipotizza – una nuova cooperazione. Eversivo nella forma e nel contenuto (molteplici, seppur soffusi, i riferimenti alla quotidianità plumbea di allora), Tante storie per giocare è l’anello intermedio di una catena infinita, la tessera di un puzzle programmaticamente interminabile. Dietro ogni idea sta una prospettiva sul mondo, una torsione di sguardi volta allo «slancio costruttivo».
Innamorati di Gianni Rodari: «C’era due volte il barone Lamberto» (1978)
Orientato a una frammentarietà produttiva, C’era due volte il barone Lamberto (Einaudi, 1978) è «forse l’opera di maggiore impegno di Rodari»[3], densa di motivi già modulati e inespresse inquietudini. La vicenda sviluppa l’assunto di un mitico santone arabo, incontrato dal protagonista durante un soggiorno in Egitto: «L’uomo il cui nome è pronunciato in vita». Fisicamente impiantato sul Lago d’Orta, il novantatreenne Lamberto riassume le angosce di «tanti italiani dei nostri giorni»[4], stretti fra un vitalismo imperante e una certa idea di morte. L’atmosfera surreale, tramata di umorismo dell’assurdo, è il pendant di un’ambientazione che ‘tutto consente’, dove il mondo alla rovescia è espressione geografica di uno stato dell’anima: «Il Lago d’Orta, nel quale sorge l’isola di San Giulio e del barone Lamberto, è diverso dagli altri laghi piemontesi e lombardi. È un lago che fa di testa sua». L’esaltazione del pensiero libero, controcorrente come il fiume «all’insù» – «che punta dritto verso le Alpi» – si sposa con l’utopia di una vita che non finisce, con l’idea – straordinariamente commovente – che le persone sopravvivano se si continua a pensarle, a onorarle nel ricordo di chi ha saputo amarle.
Note
[1] Si fa riferimento alla letteratura per l’infanzia, a lungo considerata una ‘serie’ minore, misurata su un target preciso. Per approfondimenti si veda P. Boero, La serie B: autori contemporanei di letteratura giovanile, Genova, Edizioni della Quercia, 1980.
[2] L. Sossi, EL: metafore d’infanzia. Evoluzione della letteratura per ragazzi in Italia attraverso la storia di una casa editrice, Trieste, Einaudi Ragazzi, 1998, p. 103.
[3] P. Boero, Una storia, tante storie, Torino, Einaudi Ragazzi, 2010, p. 107.
[4] A. Faeti, Fiaba, «non sense» e «grammatica» in Rodari, in “Scuola e città”, 6-7, 31, luglio 1980.
In copertina: Artwork by Madalina Antal
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