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La Divina Commedia: vale ancora la pena leggerla oggi?

4 minuti di lettura

Sì, lo sappiamo che consideri la Divina Commedia un capolavoro ma sotto sotto ripensi a quando, a scuola, ti sei scervellato e te le sei triturate per studiarla. Sappiamo che la risposta è «ovviamente vale ancora la pena leggerla», ma ti limiterai al massimo a guardarla impolverata nella libreria con un sorrisetto da ebete intellettuale compiaciuto. Sappiamo che ogni volta che ne senti parlare, dicono si possano fare tanti paragoni tra passato e presente, e bla bla bla…

Ma perché nessuno più la legge se non per farsi dare un voto, quindi sotto costrizione o intimidazione? Ecco allora tre motivi per cui vale ancora la pena leggere la Divina Commedia e tre motivi che invece scoraggiano il lettore contemporaneo.

Tre motivi per cui la Divina Commedia ci crea ostilità

Partiamo prima dai contro, ovvero da quei motivi che ci nauseano alla sola idea di aprire il libro.

divina commedia

1) La complessità della lingua e della forma nella «Divina Commedia»

La Divina Commedia è un poema, una narrazione scritta in versi; un genere letterario che in quest’epoca contemporanea non ha mai avuto successo, basti pensare a quanti ne possiamo trovare in una qualsiasi libreria: ben pochi. Insomma, non va di moda né scriverli né leggerli. La lingua è un altro ostacolo alla lettura, Dante scrive in un italiano “antico”, ci sono parole difficili da comprendere e che dobbiamo ricercare, e dunque la lettura non è scorrevole. Altra difficoltà è quella dell’impossibilità di leggere l’opera senza un commento accanto che ci spieghi gli innumerevoli riferimenti presenti nel testo; la Commedia, infatti, equivale a un’enciclopedia per la quantità di contenuti: da quelli filosofici a quelli teologici, dai miti greci agli eventi storici medievali. Insomma, è una lettura impegnativa, non è certo il romanzo da leggere sotto l’ombrellone, una terzina richiede tempo e attenzione per schiuderne il significato.

2) La distanza tra il mondo medievale e il nostro

Al di là dei banali paragoni tra passato e presente, bisogna fare uno sforzo mentale e calarsi nella realtà medievale, che è molto diversa da quella odierna. All’epoca vi era infatti il dualismo di poteri tra papa e imperatore, la società era rigidissimamente gerarchizzata secondo tre ordini, la scienza era assai arretrata e l’uomo basava le sue certezze sulla religione. Dunque, i diritti, la democrazia e le conoscenze di cui godiamo oggi rendono i paragoni molto forzati.

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È un mondo lontano per noi, che ci ritroviamo goffi e impacciati nella lettura come Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere, ma almeno non dobbiamo pagare un fiorino per ogni canto.

3) La religione

C’è un contrasto nel Paradiso tra l’ultimo canto e tutti gli altri. Il lettore per arrivare al culmine della narrazione deve attraversare 32 canti melensi che esaltano il messaggio cattolico; questi sono difficili da digerire per chiunque e non lasciano passi significativi come le altre due cantiche. Ma vale la pena arrivare al 33° che è forse il canto più bello, difficile e meraviglioso allo stesso tempo, di tutta l’opera. Qui Dante compie un’impresa quasi eretica per un cristiano: descrive Dio. Il lettore odierno, al di là della sua fede, fatica a digerire quegli esempi di perfezione morale e beatitudine perché non ci si riconosce ed è forse anche per questo che ci concentriamo sull’Inferno, perché è nel peccato e nei vizi umani che ci riconosciamo.

Tre motivi per leggere la Divina Commedia oggi

Parliamo adesso, invece, delle ragioni per cui leggere la Commedia.

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1) I personaggi

Nell’opera troviamo tantissimi personaggi realmente esistiti e di fantasia. La cosa affascinante è che a Dante bastano poche terzine per renderli immortali. E se oggi ricordiamo l’amore indissolubile e straziante tra Paolo e Francesca, il cupo mistero che avvolge il conte Ugolino e la sorte dei suoi figli, l’orazion picciola e la morte di Ulisse, lo dobbiamo ai laconici versi danteschi, che con la loro bellezza hanno creato eterni miti della letteratura.

2) Le chiavi di lettura

Esistono due modi per leggere la Commedia. Uno, il più semplice, è quello letterale. Qui Dante è un viaggiatore, forse in un sogno, che attraversa i regni ultramondani affrontando mille peripezie prima di ritrovare l’amata Beatrice e contemplare Dio. Il secondo è quello allegorico, il più complesso ma soddisfacente, dove ogni immagine cela un messaggio o un particolare significato, che rimanda alla vita dell’autore stesso, al suo pensiero, e alla storia a lui contemporanea. Ad ogni modo, la lettura risulta sempre coinvolgente e sublime.

3) «Il più bel libro scritto dagli uomini»

«Il più bel libro scritto dagli uomini»: così l’ha definito senza fronzoli Jorge Luis Borges. La bellezza della Commedia sta nella sua complessità, nella sua vastità di temi e argomenti, che la rendono completa rispetto a qualsiasi altro libro (esclusa forse la Bibbia). Altro elemento di spicco è la cura delle parole: Dante ha impiegato circa vent’anni per selezionare con cura maniacale le parole adeguate al poema, ed il risultato lo apprezziamo al meglio quando sentiamo il suono delle parole, che trovano la loro naturale collocazione in un ideale spartito composto da terzine.

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Quello che la Divina Commedia riesce ancora a trasmetterci è proprio l’intento del suo scrittore, che si è perpetuato nei secoli: la descrizione dello stato d’animo dei vivi, i loro vizi e le loro virtù, attraverso le anime dei defunti. Dopo 700 anni noi possiamo ancora specchiarci in Dante e nei suoi personaggi.

In conclusione

Non ci sono più scuse per non conoscere la Commedia: il testo, i commenti, le spiegazioni li troviamo ormai gratuitamente su internet; così come, se non vogliamo leggere, la possiamo ascoltare scegliendo tra le voci di studiosi e attori teatrali come Sermonti, Benigni, Gassman e altri.  L’opera non ci offre solo versi da declamare per far bella figura alla cena coi parenti o all’appuntamento con una nuova fiamma. Ma soprattutto l’occasione di un viaggio introspettivo nell’esistenza umana. Ecco perché varrà sempre la pena leggere la Divina Commedia.

Nicolò Corbinzolu

 


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