Il 3 novembre è uscito nelle librerie il nuovo romanzo di Alessandro D’Avenia, L’appello (acquista). Questo scrittore, più che solamente un autore, è un “fan” degli autori: la sua forte passione (e naturalmente competenza, in quanto è laureato in Lettere classiche) per i grandi classici, in particolare per i poemi omerici, si vede proprio dai suoi romanzi.
L’importanza di leggere i classici
Il professor D’Avenia (è importante marcare il suo ruolo di professore ai fini della sua produzione) attua ogni giorno, sia attraverso il suo blog, sia in classe, un metodo di insegnamento che consiste nel non considerare la materia unicamente sulla base di quanto c’è da conoscere, ma su quanto essa possa insegnare a noi. Lo studente è chiamato a rivedersi nei classici e rivalutarli come vita quotidiana, non vivendoli come qualcosa di esterno a sé o protetto da una teca di vetro, trattamento che invece molti insegnanti riservano spesso ai grandi autori.
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Un esempio lampante di questo metodo si ha nel primo romanzo dell’autore, Bianca come il latte rossa come il sangue. Un supplente di storia e filosofia, chiamato «il sognatore», riesce a fare comprendere al protagonista, un adolescente che frequenta un liceo classico, il valore dei classici e in particolare della storia di Dante. Nel paragone con Dante, del resto, si disgrega la stessa vicenda: la ragazza di cui è innamorato, non a caso, si chiama Beatrice.
Crescere attraverso lo studio
L’attenzione ai ragazzi da parte dell’insegnante è un aspetto che si manifesta anche nei vari articoli presenti sul suo blog, in cui viene definita un’idea di scuola che non si ripara dentro i programmi, ma propugna la conoscenza e la consapevolezza di sé. Da qui l’importanza e il ruolo chiave di un insegnante che sappia presentare la materia come viva e come fonte davvero di conoscenza, non intesa come il superamento delle prove per ottenere il voto alto, bensì come crescita personale.
E cosa abbiamo fatto con te per 13 anni? Ti abbiamo riempito di nozioni, ti abbiamo addestrato a fare dei test e delle prove e non ti abbiamo aiutato a conoscere i tuoi punti forti e i tuoi punti deboli? È paradossale.
(dal blog Profduepuntozero)
Sicuramente, un modo per riuscire nella vita è essere consapevole delle proprie possibilità e dei propri punti forti. Questo è ciò che D’Avenia cerca di porre in evidenza, raccontando continuamente le storie ai suoi alunni, ma anche scrivendole in prima persona.
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Raccontare ci serve per crescere, leggere ci serve a maturare. Raccontare i viaggi, intesi come ‘viaggi della vita’, oppure leggerli e quindi viaggiare con i personaggi è un processo di crescita fondamentale non solo per l’alunno in senso stretto, ma per l’uomo in generale. E sappiamo tutti qual è il viaggio per antonomasia:
Ai miei studenti faccio imparare a memoria il proemio dell’Odissea: devono ricordare per tutta la vita che Ulisse è colui che «conobbe le città e i pensieri di molti uomini,/molti dolori patì sul mare nell’animo suo,/per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni». In altre parole, la conoscenza e la passione come strumenti di salvezza, propria e altrui. La vita si fonda su questo eroico caposaldo: per salvarsi bisogna conoscere e patire.
(dal blog Profduepuntozero)
Il messaggio sempreverde dell’Odissea
Non serve essere appassionati di letteratura per cogliere la magnifica morale dietro il poema omerico dell’Odissea, che D’Avenia così brillantemente ci presenta. Non è un caso che sia proprio Ulisse uno dei personaggi più fortunati di tutta la letteratura da Joyce, Tennyson, fino agli italianissimi Cesare Pavese e Dante, ma anche nella musica con Guccini e Dalla. La mente colorata (come la definisce Citati) di Ulisse, tra le mille cose che può darci, può insegnarci a soffrire per qualcosa e che questo soffrire ci salva. Eschilo, il grande drammaturgo greco, ha scritto nel coro dell’Agamennone πάθει μάθος (pàtei màtos) ovvero si impara soffrendo.
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Nell’articolo sul suo blog citato prima, D’Avenia riflette proprio su quanto serva questa sofferenza. Su quanto occorra profondamente andare avanti a fatica, nella speranza di raggiungere una Itaca, una casa, un traguardo. Cosa rappresenta davvero Itaca, per Ulisse? Un fine, una responsabilità. L’eroe multiforme ne rifugge spesso, preferendo le sue avventure, mosso dalla grande curiositas che lo accompagna sempre. E sì, perché spesso ci dimentichiamo che Ulisse non termina al ritorno ad Itaca il suo viaggio, è un eroe che profondamente forse non vuole ritornare, eppure ritorna, perché di Itaca ha bisogno.
Ma prima di farlo è diventato protagonista di quel folle volo che lo ha portato verso mondi sconosciuti, sperimentando il gusto del proibito. Lo scopo che allora ci poniamo nella nostra vita deve essere questo: viaggiare, come Ulisse, alla ricerca sempre di qualcosa di nuovo, imparando anche dalle nostre sofferenze. E, come per l’eroe omerico, Itaca non sarà mai là di fronte a noi ad aspettarci, non toccheremo terra subito, ma saremo mossi dalla curiosità di affrontare gli ostacoli che il mare ci propone.
Immagine di copertina: Ulisse e le sirene, Herbert James Draper, 1909
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