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Scelte universitarie: qualche
consiglio alle future matricole

4 minuti di lettura

983fb56032c1ac1b726360eae9dd3d18_XLdi Davide Cassese

Arrivata la fine dell’estate – ma solitamente ancora prima – la gran parte dei ragazzi e delle ragazze che hanno finito le scuole superiori si accinge a cercare e possibilmente trovare, spesso poco agevolmente, la strada da scegliere per il futuro. Le incertezze sono tante, i tormenti dilagano e i dubbi sull’effettiva scelta attanagliano la mente e lo stomaco di moltissimi ragazzi. È evidente come sia una scelta cruciale quella relativa alle prospettive future, tuttavia non irreversibile, che merita per questo di essere oggetto di discussione. Cruciale perché orienterà il futuro, non irreversibile perché – sempre restando ancorati alla bussola – ci sono diversi punti cardinali verso cui tendere. Scelto uno, insomma, si può virare. Si spera.

Molti giovani, che tranquillamente stanno vivendo la loro estate, si trovano di fronte a uno scenario poco rassicurante: rispondere alla fatidica domanda:«Insomma, ora che hai finito, che farai?». Accade quindi che vagoni stracolmi di incertezze e ansie pervadono le lo stomaco, la mente e le membra dei poveri diciannovenni. Calma, ragazzi e ragazze. Calma. Innanzitutto bisogna chiarire una cosa: non è detto che si debba per forza scegliere l’università. C’è anche il lavoro, sebbene molto difficile da trovare. L’università come idea affascinante, quasi esotica, e mitica non è corretta. La scelta universitaria non è scevra da difficoltà e sacrifici, legati all’impegno, alla costanza, alla dedizione e alle spese che le famiglie sostengono. Tuttavia è doveroso dire che il titolo di studio rappresenta un elemento in più nella ricerca di un’occupazione. E qui viene il bello. La domanda da porsi è questa: intraprendendo la strada dell’università, la decisione relativa alla facoltà da scegliere è legata all’interesse che si prova per ciò che viene insegnato in quel determinato corso di laurea o è invece frutto della speranza di riuscire a trovare agevolmente lavoro dopo la laurea? 

In questi giorni si è scatenato, sul sito de Il fatto quotidiano, un acceso dibattito tra il vicedirettore Stefano Feltri – autore di un articolo dal titolo Il conto salato degli studi umanistici –  e altri giornalisti, riguardante proprio questa fatidica domanda. Feltri ha spiegato che il ritorno economico, in termini di occupazione e di remunerazione, che hanno gli studenti laureati in materie come Matematica, Fisica, Economia e finanza ed Ingegneria, è sensibilmente superiore a chi decide di intraprendere un percorso basato su studi umanistici, come Filosofia, Storia, Lettere eccetera. Tale divisione presta il fianco ad alcune perplessità: una tra tutte è rinvenibile nella possibilità che si possa generare una divisione sociale/culturale tra le varie forme di sapere, che sono invece inevitabilmente correlate tra loro. Alcune facoltà, purtroppo, per il mercato (del lavoro) sono da ritenersi inutili e poco produttive e tali sono ritenuti gli studenti che, dopo anni di sforzi, spese e notti insonni, hanno deciso di laurearsi nelle suddette discipline. Alla prova dei dati, certo, Feltri ha ragione. Ma ci sono comunque altre componenti non indifferenti. È da ritenere illogico, infelice e deprecabile intraprendere un percorso universitario solo perché i dati  dimostrano che si potrà trovare più facilmente lavoro. Decidere, infatti, di studiare una materia per cui non si è portati o interessati ma che è richiesta dal mercato non è come decidere di scegliere una margherita al posto di una quattro stagioni solo perchè c’è uno sconto sul prezzo. È una scelta significativa, che segnerà il futuro culturale e professionale della persona. Non è un click, che una volta eseguito, esonera da responsabilità e da impegni. Una scelta, che piaccia o no, ha sempre conseguenze. Il percorso universitario, già di per sé, è costellato di difficoltà (sia legate allo studio, sia legate alla vita privata della persona) se si aggiungono difficoltà legate all’interesse alla materia, alla poca dimestichezza con le tematiche e agli ostacoli nelle metodologie di studio, allora la tanto incensata e adulata università diventa una montagna insormontabile. Un altro rischio che tale situazione – una iattura! – presenta è quello di creare un mondo del lavoro, e quindi una società, molto poco soddisfatta della propria vita e della propria occupazione, che avrà riflessi anche sull’efficienza del lavoratore, in termini di contributo apportato al lavoro che fa. E non si guardi a tale espressione come alla dimostrazione di un non meglio definito “instillato neoclassicismo economico (?) che alberga in ognuno di noi”. Sarebbe poco sostenibile fare 3 ore di fila e trovare allo sportello di una banca un funzionario turbato e incupito che batte la matita sul marmo a ritmo di musica –  che solo lui ascolta – perché avrebbe tanto voluto fare il musicista. Portare avanti lo studio di una materia che non piace, sfocerà nella conduzione di una vita lavorativa poco gratificante e avvincente per l’ormai lavoratore e ciò avrà poi riflessi sui rapporti con i colleghi di lavoro. L’ultima componente da considerare è la conseguenza che una scelta non oculata avrà su se stessi, sull’umore giornaliero, perché, si sa, non c’è cosa peggiore che essere artefici delle nostre disfatte.

Ora, tenendo conto dei dati – che sono significativi e vanno tenuti in considerazione – mi permetto di partorire quattro parole sulla questione. Ho avuto modo di conoscere decine e decine di ragazzi frequentando le aule dell’università di Economia. Ho conosciuto gente che era lì perché lo voleva il padre, perché lo voleva la ragazza – un fidanzato banchiere non fa male – o perché ” non sono entrato a medicina”. Non dimenticherò mai un ragazzo che pativa le pene dell’inferno a stare lì dentro a seguire le lezioni di Economia aziendale 1. Mai vorrei che tutti i ragazzi che sceglieranno siano condannati alla sofferenza solo perché lo vuole il mercato o lo vuole l’Europa. Poi ho conosciuto quelli che erano lì perché volevano farlo davvero. Perché è bello capire come gira il mondo. Perché se dobbiamo criticare qualcosa è necessario conoscerla. Perché se c’è la crisi e vogliamo risolverla dobbiamo capire prima le cause e poi agire. Ho imparato a conoscerli dal modo in cui guardavano il professore. Con la curiosità di rubare tutto quello che diceva. Ho imparato a conoscerli e loro hanno conosciuto me perché io ero seduto in mezzo a loro.

Vi auguro di scegliere con la testa, ma di dare retta a quello che sentite davvero. Potrete sbagliare, potrete cambiare. Vi auguro di studiare quello che vi piace e avere ottimi risultati. Vi auguro di essere felici e curiosi durante le lezioni, mentre studiate e dopo che registrate il voto. Vi auguro di considerare il voto non una scelta, ma una conseguenza. Vi auguro la cravatta, la Porsche, una bella casa e anche il televisore al plasma, ma non come rigida imposizione, come naturale svolgimento del vostro percorso. Vi auguro di essere voi stessi, con le vostre insicurezze, i vostri dubbi e le vostre aspirazioni. Vi auguro di essere sereni nella scelta, di essere felici e realizzare i vostri sogni, come io sto pian piano facendo con i miei.

Buona fortuna, ragazzi e ragazze.

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Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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