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storia dei vampiri

Breve storia dei vampiri nell’arte e nella letteratura

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5 minuti di lettura

Il vampiro, con i suoi modi carismatici e magnetici, è il più fascinoso tra i non morti che pullulano il variegato mondo della letteratura, della cinematografia e della serialità televisiva. L’immagine canonica del vampiro, attraente e dall’eloquio forbito, vero e proprio predatore sessuale oltre che spietato assassino, si è cristallizzata nell’immaginario collettivo soprattutto attraverso la cinematografia, dal compassato Dracula, magistralmente interpretato dall’ungherese Bela Lugosi nell’omonimo film del 1931, ai crudeli vampiri del cult Intervista col Vampiro (1994), interpretati dai sex symbol Brad Pitt, Antonio Banderas e Tom Cruise.

L’origine del vampiro, in realtà, affonda le radici nella notte dei tempi. I suoi primi lontani antenati sono i demoni assetati di sangue attestati nella tradizione culturale delle antiche civiltà, basti pensare a Lilith, demone babilonese dalle sembianze femminili che si nutre del sangue dei neonati, e alle Empuse, creature notturne della mitologia greca in grado di assumere l’aspetto di bellissime donne per sedurre i forestieri e cibarsi delle loro carni.

Nel campo dell’arte, invece, il soggetto del vampiro ha conosciuto alterne fortune. In epoca medievale è poco rappresentato, nonostante la predilezione per la tematica della morte di cui sono figlie le Danze Macabre, uno dei caposaldi dell’arte medievale, inquietanti girotondi di scheletri e uomini, materializzazione dell’onnipresente monito Memento Mori.

Giacomo Borlone De Buschis, Trionfo e danza della morte, 1484-1485. Esterno dell’Oratorio dei Disciplini a Clusone

Anche in età rinascimentale e barocca, ad eccezione del visionario Hieronymus Bosch, che spesso ha inserito creature succhia sangue nei suoi deliranti quadri, la fama del vampiro è oscurata da quella delle streghe e dai lupi mannari, indiscussi protagonisti delle cronache dell’epoca a causa delle crudeli persecuzioni portate avanti dalla Santa Inquisizione in un’Europa prigioniera di fanatismi e superstizioni.  

È solo verso la fine del ‘700, scemata la follia inquisitoria ai danni delle presunte fattucchiere, che il vampiro guadagna terreno nel Pantheon dei mostri più rappresentati nell’arte. Il secolo dell’Illuminismo aveva preso a picconate secoli di oscurantismo religioso e di superstizioni, fornendo spiegazioni scientifiche a fenomeni in precedenza inspiegabili e dunque ascritti al mondo dell’occulto, estromettendo così dal dibattito pubblico mostri e megere. Tuttavia la figura del vampiro, anche detto Risurgente, sopravvive all’epurazione delle figure diaboliche, in quanto giudicata credibile alla luce delle ricerche anatomiche dell’epoca sui cadaveri e sul sangue, visto come fluido vivificatore in grado di riportare alla vita.

Passato il vaglio della scienza, il vampiro ha generato un’ondata di psicosi collettiva senza eguali in Europa. Le terribili ondate di peste che funestarono il vecchio continente furono infatti imputate ai vampiri, rei di trasmettere il fatale morbo attraverso il morso. Questa credenza si diffuse in particolare nell’Est Europa, dove il vampiro era noto come Nosophoros, ovvero portatore di malattia.

L’abate Agostino Calmet nelle Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti, e sopra i vampiri, o redivivi di Ungheria, di Moravia e di Slesia (1770) raccomandava di aprire le tombe per valutare lo stato del cadavere appena sepolto: se il corpo fosse apparso roseo e satollo, certamente si sarebbe trattato di un vampiro. Oggi queste anomalie sono spiegate dalla scienza medica come effetti conseguenti al rigor mortis, che conferisce un’apparente elasticità al corpo del defunto nelle ore successive alla morte a causa della decomposizione delle fibre muscolari, mentre l’aspetto rosato deriverebbe dal coagulo del sangue rappreso.

La paura del vampiro, specie nei viaggiatori che si recevano nell’Est Europa, era tale che vennero commercializzati dei veri e propri kit anti-vampiri contenenti paletti in legno, crocefissi, aglio in polvere e pistole munite di pallottole in argento.

Kit anti-vampiri venduto a Boston intorno al 1840

Con l’avvento del Romanticismo, che indaga gli aspetti più irrazionali e pulsionali della natura umana, il vampiro acquisisce la fama di seduttore carismatico, oltre che di crudele assassino. Allentatosi il controllo della Chiesa Cattolica sulla morale, il vampiro, che, attraverso una manipolazione prima mentale e poi sessuale della vittima, ne prende il totale controllo, diventa per i Romantici una metafora della riscoperta del corpo e della sessualità.

La trasformazione del vampiro da spauracchio orrorifico a elegante aristocratico si deve al medico personale di Lord Byron, Jhon William Polidori, autore della novella Il vampiro (1831), il cui protagonista è un mondano frequentatore dell’alta società, direttamente ispirato a Lord Byron stesso che aveva la fama di spietato seduttore.

Nel 1879 compare la prima vampira della storia della letteratura, Carmilla, nata dalla penna dell’irlandese Joseph Sheridan Le Fanu. Carmilla incarna le peggiori paure dell’epoca in quanto donna straniera e atea, dalle spiccate tendenze omosessuali e, pertanto, al di fuori del rassicurante perimetro della canonica rappresentazione del femminile nel sistema delle arti.

È proprio in questo periodo che il vampiro trova la sua definitiva veste iconografica nell’arte.  Il barone inglese Philip BurneJones nel 1897 realizza Le Vampire, di cui conosciamo solo la riproduzione fotografica, dove il vampiro è una bellissima femme fatale che sovrasta un uomo privo di sensi.

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Philip Burne-Jones, Le Vampire,1897. Ubicazione ignota

Un altro interprete dell’archetipo della donna vampiro è il norvegese Edvard Munch, autore dell’iconico Love and Pain (1895), successivamente ribattezzato Vampire, esposto al Munch Museet di Oslo. La donna vampiro è qui una creatura dalla lunga chioma rossa che stringe in un abbraccio la figura maschile, che sembra abbandonarsi al suo tocco, in un’opera in bilico tra grande tenerezza e giochi di potere, in cui Munch riversa la sua paura del femminile, percepito come erotico e inconoscibile, foriero di vita e di morte.

Edvard Munch, Love and Pain( Vampire), 1895. Oslo, Munch Museet

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Ad interessarsi della figura del vampiro sono soprattutto i simbolisti francesi, tra cui l’indagatore del mondo onirico Odilon Redon, che nel dipinto Il mostro, rappresenta una creatura ancora spaventosa ma umana con cranio calvo e orecchie appuntite, che scruta il visitatore con sguardo indagatorio e malinconico.

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Odilon Redon, Il mostro, 1885 circa. Collezione privata

Alla fine del secolo la popolarità del vampiro ha raggiunto il suo momento apicale, ed è in questo contesto che l’irlandese Bram Stoker pubblica il suo Dracula (1897) pietra miliare della narrativa di genere gotico e orrorifico. Il Dracula di Bram Stoker è ispirato alla figura realmente esistita del principe Vlad III di Valacchia, vissuto nel quindicesimo secolo in Transilvania, noto come l’Impalatore per via delle efferate torture che infliggeva ai nemici.

Un’altra storica  figura che ha insanguinato la Transilvania del 1600 è la contessa Erzsebet Bathory, che aveva istituito nel suo castello un collegio femminile con lo scopo di trucidare le giovani ospiti, nella convinzione che bagnarsi nel loro sangue le avrebbe regalato l’eterna giovinezza.

Tra la fine dell’ 800 e l’inizio del ‘900 la figura della contessa fu studiata in chiave psichiatrica come Serial killer sadica ed edonista, catturando l’attenzione del pittore ungherese Istvan Csok, che, attraverso un’attenta analisi della ritrattistica della contessa, ne forni un’inquietante versione in un dipinto del 1895 che vede la Bathory osservare il tormento psicologico delle sue vittime, nude nella neve, comodamente sdraiata in poltrona.

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Istvan Csok, Erzsébet Bathory, 1895. Ubicazione ignota

Nel 1922 appare il primo vampiro cinematografico, il Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau, capolavoro dell’espressionismo tedesco, dove per la prima volta viene mostrata la vulnerabilità del vampiro ai raggi solari. Da quel momento, La Stirpe di Dracula, per citare il bel saggio di Massimo Introvigne, non ha mai cessato di esercitare il suo fascino oscuro e perturbante, popolando film, fumetti e videogames.

 


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Arianna Trombaccia

Romana, classe 1996, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Storia dell'arte presso l’Università La Sapienza. Appassionata di scrittura creativa, è stata tre volte finalista al Premio letterario Chiara Giovani. Lettrice onnivora e viaggiatrice irrequieta, la sua esistenza è scandita dai film di Woody Allen, dalle canzoni di Francesco Guccini e dalla ricerca di atmosfere gotiche.

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