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Innamorati di Francis Scott Fitzgerald: 3 racconti per iniziare

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5 minuti di lettura

Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) è stato tra i principali esponenti della cosiddetta Generazione perduta, insieme a Ernest Hemingway, John Steinbeck e Thomas Stearns Eliot. È noto al grande pubblico principalmente per il suo romanzo Il grande Gatsby, pubblicato nel 1925, da cui sono state tratte due trasposizioni cinematografiche: una del 1974, con Robert Redford e Mia Farrow, e una del 2013, con Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan e Tobey Maguire.

In realtà, però, nell’arco della sua breve vita Francis Scott Fitzgerald scrisse solo quattro romanzi, a fronte di una quantità pantagruelica di racconti pubblicati su riviste. Il motivo è banale: con i racconti, più veloci da scrivere, era più facile guadagnare. Non per niente, spesso Fitzgerald non era soddisfatto dei suoi stessi racconti, perché li trovava scritti di corsa e troppo commerciali.

Anche se i racconti nascono essenzialmente dalla necessità di “portare a casa la pagnotta”, alcuni non hanno nulla da invidiare a romanzi oggi considerati capisaldi della letteratura, come Il grande Gatsby o Tenera è la notte. Anzi, in questo articolo abbiamo deciso di andare controcorrente e di suggerire a chi non lo conosce proprio tre meravigliosi racconti per innamorarsi di Francis Scott Fitzgerald

Chi era Francis Scott Fitzgerald?

Francis Scott Fitzgerald nacque il 24 settembre 1896. La sua passione per la scrittura si rivelò precoce: a soli tredici anni pubblicò su una rivista un racconto poliziesco, Il mistero di Raymond Mortage. Nel 1917, quando gli Stati Uniti entrarono in guerra, si arruolò nell’esercito, ma non fu mandato al fronte. Sfruttò quindi gli inattivi mesi della guerra per lavorare alla stesura del suo primo romanzo, Di qua dal Paradiso, che sarebbe stato pubblicato, non senza qualche difficoltà, nel 1920.

Nello stesso periodo conobbe Zelda Sayre e se ne innamorò. I due si sposarono nella primavera del 1920 e cominciarono una vita sregolata, all’insegna dell’alcol e di eccessi di ogni tipo. Proprio l’esistenza dissoluta di una giovane coppia è al centro del secondo romanzo di Fitzgerald, Belli e dannati, pubblicato nel 1922. In ogni caso, oggi la critica ritiene i primi due romanzi dell’autore i più deboli della sua produzione. Il suo capolavoro indiscusso fu Il grande Gatsby, scritto nel periodo che Fitzgerald trascorse in Francia e pubblicato nel 1925.

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Gli anni Trenta furono molto difficili per lo scrittore: la sua vita fu profondamente segnata dai suoi problemi di alcolismo e dal disagio psichico della moglie, tra le cause dell’inesorabile declino del loro matrimonio. Inoltre, il suo quarto romanzo, Tenera è la notte (1934), a cui Fitzgerald aveva lavorato per ben otto anni, non ottenne il successo sperato, gettandolo nella disperazione più nera. Nel 1937 provò a reinventarsi come sceneggiatore a Hollywood, ma dopo poco tempo i suoi problemi di alcolismo si ripresentarono.

Negli ultimi anni della sua vita lo scrittore cominciò a lavorare a un nuovo romanzo, L’ultimo fuoco, che purtroppo non riuscì mai a terminare: morì infatti per un attacco cardiaco il 21 dicembre 1940. Nonostante la vita sfortunata del loro autore, oggi le opere di Fitzgerald sono considerate fra i più importanti contributi alla letteratura americana del Novecento.

Per iniziare: «La cosa più sensata» (1924)

Al centro de La cosa più sensata (The Sensible Thing), pubblicato nel 1924, vi è l’illusione di poter ripetere il passato per viverlo in un altro modo, tema che l’autore riprende anche ne Il grande Gatsby. All’inizio del racconto, in un giorno di aprile, il giovane protagonista George O’Kelly deve scontrarsi con una dura realtà: Jonquil, la sua fidanzata, non ha più intenzione di sposarlo. George lascia la casa di lei e per un anno non si fa più vivo. Nell’arco di quell’anno molte cose cambiano: la fortuna vuole che il suo talento venga notato e apprezzato e la sua situazione economica migliora sensibilmente.

Il pensiero di Jonquil, però, lo accompagna ogni giorno. George non riesce a smettere di fantasticare di un loro nuovo incontro ma, quando questo si concretizza, si rende conto che la realtà è diversa da quanto aveva immaginato. Dopo aver pensato a lungo alle parole da dire, queste vengono meno. La realtà si ingarbuglia e mostra a George un’amara verità: rivivere e riscrivere il passato è impossibile. La “cosa più sensata” da fare è lasciarselo alle spalle e andare avanti, come ammette lo stesso George nella chiusa del racconto:

Ma per un attimo, mentre la baciava, capì che, anche se avesse cercato per l’eternità, non avrebbe mai più potuto ritrovare le ore perdute di aprile. […] Be’, fattela passare, pensò; aprile è finito, aprile è finito. Ci sono tanti tipi di amore, ma mai lo stesso amore due volte.

Per proseguire: «Il decennio perduto» (1939)

Il decennio perduto (The Lost Decade), del 1939, è l’ultimo racconto pubblicato da Fitzgerald prima di morire. Il decennio cui si fa riferimento sono gli anni Trenta, periodo molto difficile nella vita dello scrittore: c’è infatti una forte componente autobiografica nel racconto.

New York. All’editor Orrison Brown viene presentato uno strano uomo sulla quarantina, Louis Trimble, che afferma di essere stato “lontano” per molto tempo: quasi dodici anni. Orrison dà per scontato che per tutti quegli anni sia stato in un luogo remoto, o comunque che non poteva lasciare, ma inizia a nutrire qualche sospetto quando, dopo aver pranzato in un ristorante, Louis spiega di esserci già stato a maggio di quell’anno.

È lo stesso Louis ad aprirsi: per dodici anni ha avuto seri problemi di alcolismo. Pur non essendo stata fisica, la sua lontananza, dovuta all’ubriachezza, è stata quantomai reale. L’alcol gli ha fatto perdere dodici anni della sua vita, che non torneranno mai indietro.

Si soffermò accanto alla trabeazione di bronzo sullo spigolo dell’edificio. “Costruito nel 1928” vi si leggeva.
Trimble annuì.
«Ma incominciai a ubriacarmi, quell’anno… a ubriacarmi come un porco. E così, non l’avevo mai veduto prima d’oggi.»

In poche pagine, Fitzgerald ci presenta una realtà che è stata la sua: per colpa dell’alcol, anche lui ha perso tutto un decennio della sua vita. L’uso della terza persona lo protegge e lo aiuta a raccontare una storia intima e dolorosa.

Innamorati di Francis Scott Fitzgerald: «Ritorno a Babilonia» (1931)

Molti considerano Ritorno a Babilonia (Babylon Revisited), pubblicato nel 1931, il più bel racconto di Francis Scott Fitzgerald. Ricco di suggestioni espressioniste, racconta la storia di un americano, Charlie Wales, che dopo aver finalmente risolto i suoi problemi di alcolismo si reca a Parigi con un preciso obiettivo: riottenere la custodia della figlia Honoria. La bambina, infatti, era stata affidata agli zii dopo la tragica morte della madre, perché Charlie ne era stato ritenuto responsabile.

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Dopo anni passati a sperperare tutti i soldi guadagnati in Borsa, Charlie è riuscito a risollevare la sua situazione economica; non frequenta più le cattive compagnie di un tempo e si limita a un drink al giorno. I cognati sembrano pian piano convincersi delle sue buone intenzioni e disposti a lasciarlo ripartire con Honoria, entusiasta di tornare a vivere con il padre. Un imprevisto, però, farà cambiare idea ai cognati di Charlie, almeno momentaneamente.

Ritorno a Babilonia è un racconto agrodolce, che presenta la felicità come un’illusione. Così come Charlie, anche noi ci siamo ritrovati a immaginare scenari che alla fine non si sono concretizzati. Eppure, c’è una piccola luce che resiste alla fine del racconto. Charlie sente di aver perso l’ennesima battaglia, ma non si rassegna all’idea di aver perso la guerra. Nonostante tutto, non intende smettere di lottare per il suo obiettivo. Ci piace immaginare che Fitzgerald abbia scritto questo racconto per infondere speranza a sé stesso in primis, in qualche periodo buio della sua breve esistenza.

Non poteva fare molto ora, se non mandare delle cose a Honoria; domani le avrebbe mandato tante cose. […] Un giorno sarebbe tornato; non potevano fargliela pagare per sempre. Ma lui voleva sua figlia e nient’altro aveva importanza, ormai, oltre a questo.

 


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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l'impresa e specializzata in Traduzione. Sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Nel 2020 è stato pubblicato il suo romanzo d'esordio, «Noi quattro nel mondo».