Nel 1977 Gino Paoli incise una canzone dal titolo I fiori diversi. Ripercorrendone la storia, ne possiamo ricalcare il valore e l’importanza, sperando possa essere presto riscoperta e (ri)apprezzata.
Scriveva il poeta novecentesco Sandro Penna: «Felice chi è diverso / essendo egli diverso. / Ma guai a chi è diverso / essendo egli comune»[1]. Siamo di fronte ad una quartina apparentemente semplice ma che cela grande complessità. La diversità cui Penna fa riferimento riguarda lo stile, il carattere della sua poetica e naturalmente anche la sua omosessualità; si tratta di un’esistenza anticonformista che trova felicità limpida nella rarità e che non può, non deve, in alcun modo assumere le sembianze di una dannazione.
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Un ”fiore diverso“ fu certamente anche il cantante Umberto Bindi – forse il musicista più raffinato e colto della musica leggera italiana – il quale pagò a caro prezzo il suo orientamento sessuale venendo, nel corso degli anni, isolato e dimenticato, nonostante avesse firmato, negli anni Sessanta, grandissimi successi: Il mio mondo, La musica è finita, Il nostro concerto, Arrivederci, Invece no, Non mi dire chi sei, Se ci sei, solo per citarne alcuni. Bindi era amico di Gino Paoli ed entrambi fanno parte della cosiddetta “Scuola genovese” composta, tra gli altri, da Fabrizio De André, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, New Trolls, Matia Bazar, Ivano Fossati.
Paoli, classe 1934, godette, nello stesso periodo di Bindi, di una grande popolarità. Scrisse e cantò brani immortali come Senza fine, Il cielo in una stanza, La gatta, Sapore di sale, Che cosa c’è. Ma fu verso la fine degli anni Settanta che cominciò a calare il sipario, tant’è che sentì il dovere di incidere un disco diverso, controcorrente, con diciotto inediti, dal titolo Il Mio mestiere (Durium, 1977).
Si tratta di un album irriverente che affronta tematiche le più svariate: dall’emarginazione all’incomunicabilità artistica, dall’impegno politico alla morte, sino all’omosessualità, tema che in quegli anni vide i primi urli di ribellione. Basti pensare che, lo stesso anno, l’attivista Mario Mieli pubblicò per l’editore Einaudi il celebre e discusso Elementi di critica omosessuale. Il disco portò fortuna a Paoli; un anno dopo uscì Ha tutte le carte in regola (RCA,1978) interamente dedicato al cantautore livornese Piero Ciampi e successivamente La Luna e il Sig. Hyde (Five Records, 1984).
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Ed è proprio la celebre musica che accompagna il testo che dà il titolo al disco dell’84 a guidarci verso I fiori diversi, brano dolce, metaforico, commovente. Emblematica, triste quanto realistica, è l’immagine dipinta nei primi versi dove la madre del protagonista della canzone, paragonabile alla società, afferma che i fiori, rigorosamente in fondo al giardino, «non hanno un nome ufficiale» e bisogna tirarli via. In realtà, i fiori diversi sono unici, non chiedono mai niente, «bevono il vino quando lo bevo io ma non s’offendono se c’è solo l’acqua».
Questa canzone fa parte di un piccolo filone che riesce ad emozionare perché racconta la società con estrema poesia. È doveroso citarne alcune altre: La canzone di Marinella di Faber, Albergo a ore di Herbert Pagani, Analfabetizzazione di Claudio Lolli, Lazzari felici di Pino Daniele, 051 di Fabio Concato, Il sorriso di Michela di Eugenio Bennato.
Nel periodo in cui uscì I fiori diversi era necessario parlare di diversità, non con accezione negativa, discriminatoria, ma con un senso di difesa e pretesa di una serie di diritti che, nel corso degli anni, dopo tante battaglie, sono stati quasi interamente riconosciuti. Naturalmente non è una “diversità”, ma la normalità, in una comunità che deve riconoscere in un uomo soltanto un uomo, in una donna soltanto una donna e in un fiore sempre e soltanto un fiore. Nient’altro. Nulla di più naturale e semplice.
Nota critica: Questa canzone non è presente su Spotify. Il testo non è reperibile in Internet e, per ascoltare la canzone, è disponibile soltanto l’audio caricato da un’anima buona su YouTube. Non so se si tratti di un caso, è inutile alzare le barricate con il solito vittimismo. Certo è che sono proprio le cose e le persone dimenticate, considerate minoritarie, a custodire il più grande dei valori: l’umanità.
Gino Paoli, I fiori diversi In fondo al mio giardino ci sono degli strani fiori, mia madre dice che non hanno un nome ufficiale, dice che devo tirarli via perché non so come chiamarli I fiori diversi in fondo al mio giardino son sempre pronti a ridere con me Non chiedono mai niente e con la mia ragazza son gli unici che parlan di vestiti E di come le sta bene quell'ultimo rossetto e il segno sotto gli occhi blu I fiori diversi in fondo al mio giardino quando non ho più voglia di parlare stan zitti ad aspettare, mi sopportano quando gli parlo della fine del mio amore I fiori diversi in fondo al mio giardino s'occupano del colore della mia camicia Bevono il vino quando lo bevo io ma non s'offendono se c'è solo l'acqua I fiori diversi in fondo al mio giardino vivono volentieri insieme a me Sanno che per me un uomo è solo un uomo Sanno che per me un fiore è sempre un fiore Sanno che per me un uomo è solo un uomo Sanno che per me un fiore è sempre un fiore Sanno che per me un uomo è solo un uomo Sanno che per me un fiore è sempre un fiore Sanno che per me un uomo è solo un uomo Sanno che per me un fiore è sempre un fiore
[1] Sandro Penna, Appunti, Milano, Edizioni della meridiana, 1950.
Francesco Saverio Mongelli
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