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Sogno o son desto?

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Sogno o son desto? Tutti avremmo voluto fosse stato un brutto sogno quello al risveglio dell’ennesimo giorno di quarantena, in pieno lockdown: la pandemia è stato l’incubo peggiore che potessimo avere. Malgrado ciò, le interminabili settimane abbandonati a gozzovigliare riversi nel letto (personal trainer e runner improvvisati sul web a parte) hanno risvegliato, nell’animo di buone parte di noi, quei sogni sopiti ma mai dimenticati.

Il fenomeno dei sogni è stato addirittura studiato: tanti, più lunghi, più vividi, perfino più ricordati. E questo perché il Covid avremmo anche cercato di tenerlo fuori di casa, ma ha comunque varcato la soglia del nostro labile inconscio. E poi avevamo tutto il giorno per dormire e sognare, dormire e sognare, e così abbiamo dormito e sognato, alterando la nostra routine più di quanto non lo fosse già. Forse perché la realtà ci spaventava, e allora abbiamo vissuto dentro i nostri sogni.

Dal canto suo, con la psicoanalisi Freud, e in seguito Jung, hanno sempre sostenuto che essi altro non fossero che la voce del nostro profondo subconscio: non sono forse i sogni, desideri? In Sogno O.Henry,  pseudonimo di William Sydney Porter, scrive di quanto in realtà  «psicologia e scienza brancolino nel buio» nel tentativo di spiegare l’essenza del «fratello gemello della morte: il sonno», tentativo a cui egli stesso cercherà di non soccombere. Si limiterà a raccontare del sogno di Murray, un criminale che, nel braccio della morte con l’accusa di omicidio perpetrato ai danni della compagna in seguito a rabbia e gelosia, vive l’avvicinamento al momento della sentenza con incredibile calma e sconcertante spensieratezza, concludendone l’arrivo con un insanabile dubbio: è stato tutto un errore? È tutto un sogno? O. Henry si è distinto per l’uso sagace della parola condito da sano umorismo e finali a sorpresa capaci di irretire il lettore.

Nondimeno Franz Kafka, nel suo Un sogno, racconta dell’incubo, termine più appropriato, di K.: sogna la sua stessa morte, con tanto di fossa, lapide e scritta impressa. Egli si avvicina al cimitero affascinato da questa insegna quasi luccicante, dorata, venendo a scoprire solo una volta sepolto che quello riportato è il suo nome. Solo allora si sveglia. I sogni d’altronde si accostano spesso a noi come mondi più o meno realistici ma affidabili: solo più tardi si paleserà la felice o triste sorpresa.

Quest’ultima si ravvisa nel Sogno infinito di Bao Ru: tratto da The Dream of the Real Chamber di Cao Xuequin, autore del  romanzo Honglou meng (Il sogno della camera rossa) e considerato il capolavoro della narrativa cinese, descrive lo sgomento e il senso di smarrimento del protagonista che non viene riconosciuto dalle sue ancelle e si imbatte in un’altra versione di sé: questo triste senso di perdita perseguiterà il sognatore anche dopo il risveglio. L’incapacità di discernere il reale dall’irreale gravita anche nella nostra dimensione onirica fino a sfociare in un sentimento di inadeguatezza che ci porta a chiederci se stiamo realmente sognando oppure no. Talvolta invece incappiamo nei cosiddetti sogni premonitori, o presunti tali.

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Lo sapeva bene Maghrebi, un ricco uomo del Cairo protagonista di Storia di due che sognarono, tratto da Geschichte des Abbassidenchalifats in Aegypten di Gustav Weil, orientalista, arabista e filologo tedesco. Persa tutta la sua ricchezza in merito all’abbondante generosità, altrettanto fiducioso, egli si mette alla ricerca del tesoro promessogli dal suo inconscio che, tra varie peripezie e inevitabili sofferenze, riuscirà ad acquisire. Allah lo premia; difficile dire possa accadere lo stesso anche noi.

Poi si vorrebbe pure sognare da svegli, perché no. L’uso di droghe allucinogene e psichedeliche favorisce questo processo e ne allieta lo spirito con false visioni idilliache. Così argomenta la sua tesi il medico all’interno del racconto Sogni di Guy de Maupassant di fronte ad uno scrittore e tre ricchi scapoli nullafacenti. Alla visione nichilista e triste di una vita ingorda di futili piaceri che questi gli propongono, il medico contesta con l’assunzione dell’etere: non è una droga come le altre già elargite e conosciute, ma è comunque capace di concedere una nuova visione dell’esistenza, superiore e ricca, piena e mai concupiscente nelle sue piccolezze spesso ignorate.

Quattro brevi esempi letterari per leggere come l’ambito del sogno sia stato indagato e approfondito, non solo da un punto di vista psicologico e scientifico.

Che i nostri sogni siano sempre degni di penna.

Noemi Adabbo

 


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