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Verso le elezioni Usa: Trump, i sondaggi e gli errori della politica

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Un recente sondaggio del canale Cnbc-All-News ha dato a Joe Biden, candidato del Partito Democratico, un vantaggio tra i 10 e i 14 punti percentuali per la vittoria finale su Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che si terranno il 3 novembre venturo. Se andasse così, la vittoria di Joe Biden sarebbe già da oggi scontata dato l’ampio divario tra i due contendenti. Il successo dell’ex vicepresidente americano sotto l’amministrazione Barack Obama supererebbe addirittura il record di Bill Clinton, che nel 1992 vinse contro George Bush Senior per un distacco di 6 punti, ad oggi il massimo distacco mai avuto in tutte le elezioni Usa. Ma anche nel settembre del 2016, secondo i sondaggi della CNN, Hillary Clinton era stata data per favorita con il 52% delle preferenze contro il 44 % sul tycoon newyorkese.

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Le elezioni Usa del lontano 2016

Nel 2016 Donald Trump era un caso anomalo della politica americana, una sorpresa per il panorama politico statunitense. Con il suo linguaggio politicamente scorretto, la promessa di far ritornare in Usa le multinazionali che avevano chiuso le fabbriche per delocalizzare in Messico (dove la forza lavorativa è a basso costo) e gli attacchi anche personali a Hillary Clinton, si era guadagnato l’appoggio della classe medio bassa operaia che risiede nella Rust Belt, quell’area geografica che comprende Cleveland, Detroit, Buffalo e Pittsburg, centro manifatturierio degli Usa.

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Scatto preso dalla Cnbc

L’elettorato medio di Trump appartiene alla classe bianca operaia, con un’istruzione medio-bassa, un basso reddito, profondamente nazionalista e che vede negli immigrati provenienti dal Sud America e nei cinesi i nemici che rubano il lavoro e fanno chiudere le aziende. 

Le parole e le sue conseguenze

Oggi il contesto è completamente differente rispetto alla campagna elettorale per le elezioni Usa del 2016. Da gran parte dell’opinione pubblica degli Stati Uniti Trump viene accusato di aver gestito in maniera sprovveduta la pandemia dovuta al Covid, ignorando ogni consiglio degli scienziati e provocando una nefasta catastrofe sanitaria che ad oggi conta più di 132.000 decessi.

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La parte più colpita della popolazione risulta essere la comunità afro-americana, quella più povera, che ha difficoltà ad accedere alle cure per colpa del sistema sanitario degli Usa fondato sulla stipulazione delle assicurazioni private. La riforma sanitaria fatta da Obama, che avrebbe dovuto riformare il sistema sanitario permettendo anche ai meno abbienti le cure necessarie, è stata in parte cancellata da Trump appena si è insediato alla Casa Bianca. Lo stesso Trump è considerato il vero obiettivo delle proteste del movimento Black Live Matters, avvenute a cause dall’uccisione di Floyd George, considerato il colpevole a livello morale del razzismo endemico degli Stati Uniti.

Nonostante queste contingenze nefaste, Trump punta, per le elezioni Usa del 2020, ancora sulla classe operaia della Rust Belt. L’esempio più eclatante è il discorso tenuto al Monte Rushmore in occasione della celebrazione del 4 luglio. Qui il suo linguaggio retorico fa apparire il governo cinese, reo di aver nascosto l’origine dell’epidemia, l’unico colpevole per la diffusione del virus. Si scaglia inoltre contro i suoi avversari del Partito Democratico, definendoli «marxisti, fascisti di sinistra» e considerandoli fomentatori della campagna di abbattimento delle statue di personaggi storici della storia americana, che hanno avuto a che fare con lo sfruttamento della schiavitù.

Tutti gli uomini del Presidente

Queste parole vanno ad attecchire proprio su quell’elettorato del deep state. Ma il vero ascendente che ha Trump su questo elettorato è la sua stessa personalità populista e confusionaria, che ragiona contro ogni principio di logica politica. Questa sua peculiarità è stata confermata dal libro pubblicato dal suo ex consigliere per la difesa John Bolton, dimessosi in aperta polemica con il presidente, intitolato The room where it Happened. Il libro offre un quadro generale su come sono articolate le politiche, ovvero – secondo le parole dell’autore – senza una linea guida in nessun settore. Bolton afferma espressamente che Trump è «in una continua contraddizione con tutti e con se stesso», cambiando opinione continuamente su qualsiasi questione gli venga sottoposta, e riuscendo a mettere in crisi i suoi più stretti membri dello staff. Infatti, dal 2016 ad oggi, si sono succeduti moltissimi collaboratori e consiglieri, che vengono tutti scelti personalmente da lui. Il primo di una lunga serie è stato il segretario di Stato Rex Tillerson, ex amministratore delegato della compagnia petrolifera Exxon, una delle più grandi multinazionali al mondo per fatturato, nominato da Trump senza avere mai avuto nessuno esperienza di politica estera o in diplomazia, e silurato dal presidente dopo poco più di una anno, considerato troppo morbido con l’Iran.

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Un altro esempio emblematico è quello di Steve Bannon, assunto come consigliere privato strategico. Ex ufficiale di complemento della Marina e poi studente ad Harvard, dove ha conseguito un master in Business administration. È lui che ha curato tutta la trionfante campagna elettorale del 2015, e coniato lo slogan «American first, Make America Great Again». Considerato il mentore dei movimenti populisti di destra negli Stati Uniti e in Europa, è però rimasto in carica solamente fino all’agosto del 2017, quando si è dimesso spontaneamente dall’incarico, anche se alcune fonti giornalistiche statunitensi dicono che sia stato lo stesso Trump ad averlo allontanato su proposta di sua figlia Ivanka. Lo stesso comportamento è stato riservato ai consiglieri militari. Il primo della lunga serie è stato il generale a quattro stelle Jim Mattis, che per due anni è stato a capo del Pentagono, e si è dimesso spontaneamente in completo disaccordo con le scelte politiche di Trump, criticandolo apertamente in pubblico in una lunga intervista fiume al giornale The Atlantic, sostenendo la totale incapacità di Trump, dovuta alla sua instabilità caratteriale, nel ricoprire la carica di presidente.

L’ultimo in ordine di tempo dei generali che si sono susseguiti nello staff presidenziale è stato John Kelly, eroe della Seconda guerra in Vietnam, messo a capo della Homeland Security, dove è resistito all’incarico solamente sette mesi. 

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(Credit Image: © G. Ronald Lopez/ZUMA Wire)

Considerare Trump già sconfitto alle elezioni Usa sarebbe un errore fatale. La sua continua contraddizione e illogicità in politica interna ed esterna è l’unica sua vera alleata. Ma, in un contesto così caotico, potrebbe essere vincente.

Lorenzo Bravi

 


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