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Tame Impala, dal synth nasce “Currents”

Pubblicato l'ultimo album dei Tame Impala, Currents. Quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono dagli album precedenti?

1 minuto di lettura

Currents, l’ultimo album dei Tame Impala, non ha potuto non attirare l’attenzione della sezione musicale del nostro giornale e così, dopo una prima recensione, eccone un’altra, che mette in luce aspetti del disco non approfonditi nella precedente.
I Tame Impala non sono mai stati una normale band, definibile in un genere, con un’etichetta. Nemmeno agli esordi, quando la musica era diversa e le chitarre più secche e acide, potevano essere definiti in un tempo o una corrente. Kevin Parker, il leader, scrive, canta, suona, registra, mixa tutto da solo ed è il vero cervello e braccio dei Tame Impala. Le idee sorgono nella sua mente già definite, suonano nella testa grazie al connubio tra le capacità del musicista e quelle del produttore. I suoni sono psichedelici, pieni di synth, vicini al pop ma allo stesso tempo così lontani: così nasce Currents.

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“Currents” si può definire pop?

Se possiamo chiamare pop ciò che si trova nel loro ultimo disco, è tuttavia davvero difficile riconoscerlo, poiché lo spettro dei suoni e delle melodie è vastissimo. Alcuni lo definiscono come pop “marcio”, acido o psichedelico; probabilmente è tutto questo messo insieme.
Le prime anticipazioni sono uscite qualche mese fa riguardo questo ultimo lavoro, uno stacco dichiarato esplicitamente che ha messo in guardia i fan: i Tame Impala del 2015 sono diversi da quelli del 2010 e da quelli del 2012, è un altro dominio, i suoni sono presi dai tempi più disparati, da tecnologie diverse e da ciò può uscire solo un mix strano ma allettante. Preponderanti i synth utilizzati e i pad veloci che rendono le canzoni elettroniche senza farle diventare dance, grazie a un uso pesante della modulazione della tastiera.

Le idee sul suono sono ben definite, nulla è lasciato al caso nemmeno nella più apparente confusione. Sicuramente Currents non è un disco per tutti, ma è capace di esprimere un progetto personale senza censura, una psichedelia curata e divenuta fulcro di diverse sperimentazioni nel disco. Kevin Parker quindi si dimostra ancora una volta fermo e convinto nel dimostrare la sua idea di suono, sempre la stessa: non è cambiato nulla, in un contesto che invece è quasi opposto a quello dei dischi precedenti.

Il padrone di questo disco è quindi il synth, quello sporco e vintage, come si dimostra nel singolo Let It Happen dove dopo otto minuti il brano raggiunge il culmine impiantandosi e saltando avanti e indietro, proprio come un disco rotto, a sottolineare l’idea, l’originalità e la fermezza di chi ha voluto tutto questo.

Tame-Impala
Fonte: www.sherwood.it
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Andrea Brunelli

Studente di ingegneria a Trento con la passione per la musica, quella vera. Cercatore di verità oltre il muro grigio.

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