Il 29 luglio 1900 i colpi della rivoltella dell’anarchico Gaetano Bresci chiusero definitivamente la storia dell’800 italiano con l’uccisione di Re Umberto I di Savoia, detto il “Re Buono”. Ma il Novecento era iniziato già due anni prima, con i colpi di cannone di Bava Beccaris.
I cannoni di Bava Beccaris
Tra il 6 e il 9 maggio 1898 a Milano c’era aria di rivolta: il prezzo del pane aumentava e le condizioni lavorative erano insopportabili. Il governo non aveva abolito i dazi sull’importazione del grano e la gente moriva di fame. Il 7 maggio i lavoratori milanesi scioperarono. Si riunirono per le strade, innalzando barricate e sbarrando corso Venezia con vagoni del tram. Venne chiamata la cavalleria e le tegole e i mobili piovettero sulle teste dei poliziotti. La repressione del generale Bava Beccaris fu terribile. Il totale, tra la popolazione civile, fu di 82 morti (compresi 11 bambini) e 450 feriti. Tra i militari invece i morti furono 2 e i feriti 52. Al termine degli scontri, al pianterreno del Castello Sforzesco, si misero alla sbarra rivoltosi, straccioni, giornalisti e politici (Filippo Turati compreso). Un grande repulisti di sovversivi.
Gaetano Bresci prima del regicidio
Il Re, fiero del suo operato, appuntò sul petto di Bava Beccaris, divenuto senatore, la croce al merito dell’Ordine militare di Savoia. La notizia certo arrivò sul modesto tavolo di un decoratore di seta a Paterson, in New Jersey. Quell’uomo era nato nel 1869 vicino Prato da una famiglia contadina. Lavorava sin dall’infanzia. Anarchico dall’età di 15 anni, ottenne la prima condanna a 23 per aver insultato delle guardie che multavano un fornaio, reo d’aver tenuto aperto il forno oltre l’orario consentito.
Dopo la schedatura come “anarchico pericoloso“, venne confinato nel 1895 a Lampedusa. Amnistiato, nel 1896 si trasferì a Lucca, dove ebbe un figlio. Mantenne la donna, ma decise di andarsene in America. Lì si distingueva dagli altri emigrati italiani perché parlava bene l’inglese, aveva una certa cultura e interagiva con la comunità locale. Famoso donnaiolo, era sposato con un’irlandese, che gli aveva dato due figlie. Il suo nome era Gaetano Bresci.
Il regicidio
La passione anarchica mai spenta di Bresci gli disse che quel sangue doveva essere vendicato. Il 27 febbraio 1900 acquistò una rivoltella e il 17 maggio dello stesso anno partì da New York, dicendo alla famiglia di tornare in Italia per questioni di eredità. Dopo qualche visita e un breve soggiorno a Milano giunse finalmente a Monza, dove il Re soggiornava insieme alla Regina Margherita. Arrivato alla stazione con un compagno, trovò alloggio in una pensione sita in via Cairoli 14.
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Il 29 luglio 1900, in una giornata afosa e calda, l’ormai 56enne Re Umberto non ebbe voglia di indossare la maglia d’acciaio che utilizzava nelle occasioni pubbliche dopo gli altri due attentati falliti. Aveva appena assistito a delle esecuzioni ginniche che, a detta sua, lo avevano fatto sentire «bene e giovane». Erano le 22:30 ed era pronto a ritornare alla reggia di Monza, in cui stava da qualche giorno. Tutti in città salutavano il “Re buono”, quello che aveva abolito la pena di morte, quando all’improvviso una rivoltella tra le ali di folla sparò quattro colpi. Tre raggiunsero Umberto. La carrozza partì di corsa verso il palazzo, ma il sovrano era già morto tra le grida inferocite della folla.
La tavola di Achille Beltrame per La domenica del Corriere
L’arresto, la condanna e la morte di Gaetano Bresci
Bresci si consegnò spontaneamente alle guardie. La folla stava per linciarlo. Il processo durò un giorno. Dopo il rifiuto di Turati, fu difeso da un avvocato anarchico contro le accuse del procuratore che cercava dietro il gesto inesistenti trame internazionali. Gaetano Bresci disse solo di aver ucciso «il principio, non l’uomo». Lo condannarono all’ergastolo. Venne rinchiuso, dopo vari trasferimenti, nel carcere di Santo Stefano a Ventotene. La cella era di tre metri per tre, aveva la sua ora d’aria da solo e non aveva suppellettili.
Neanche un anno dopo, il 22 maggio 1901, fu ritrovato impiccato alle sbarre della cella con un asciugamano. Secondo molti non c’erano asciugamani nella cella e la sua morte fu dovuta a un pestaggio a morte eseguito da tre guardie. I medici che effettuarono l’autopsia trovarono il cadavere in avanzato stato di decomposizione. Ancora oggi non si sa dove sia sepolto: forse in mare, forse in una delle tombe anonime vicine al penitenziario. Re Umberto, invece, è sepolto al Pantheon.
Il carcere di Santo Stefano a Ventotene, da: Roma Lazio film commission
Dopo la morte
Per volontà del Re Vittorio Emanuele III si eresse nel luogo dell’attentato un monumento dedicato alla memoria del padre. Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare il monumento a un giovane compagno di partito: Benito Mussolini. Il futuro duce, visto il monumento, prese un sasso appuntito da terra e incise una frase sulla cancellata “Monumento al Bresci“.
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Nel cimitero di Turigliano esiste anche un monumento dedicato a Bresci. È stato Ugo Mazzucchelli a volerlo. In barba al processo in corso per apologia di reato, gli anarchici di Carrara posero la lastra commemorativa nella notte del 2 maggio 1990. Sempre riguardo all’attentato di Bresci, Tolstoj ebbe a dire, nel Non uccidere:
«Se Alessandro di Russia, se Umberto non hanno meritato la morte, assai meno l’hanno meritata le migliaia di caduti di Plevna o in terra d’Abissinia. Sono terribili tali uccisioni non per la loro crudeltà o ingiustizia ma per l’irragionevolezza di coloro che le compiono. Se gli uccisori di re sono spinti a essere tali da un sentimento personale di indignazione suscitato dalle sofferenze del popolo in schiavitù di cui appaiono loro responsabili Alessandro, Carnot, Umberto o da un sentimento personale di offesa e vendetta, allora tali azioni per quanto ingiuste appaiono comprensibili»
Re buono?
Non si può certo assolvere Gaetano Bresci, questo è sicuro; ma bisogna conoscerlo e comprenderlo, come tutti i fatti storici. Comprendendolo e comprendendo le sue motivazioni non lo si assolve, ma si può riflettere su una figura ancora oggi chiamata Re buono. Talmente buono che subì tre attentati e che fu necessario introdurre nel codice penale l’apologia di regicidio per porre fine ai brindisi che si celebravano in ogni dove all’indomani del 29 luglio. Sotto il regno di Umberto si consumarono lo scandalo della Banca romana (si disse che anche lo stesso re trasferì somme all’estero), la carneficina di Adua e le guerre coloniali che l’Italia non si poteva permettere oltre ai moti dei fasci siciliani del 1896, che portarono allo stato di emergenza nell’intera isola e a una cruenta repressione.
Re Umberto I di Savoia
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