Il 3 novembre 2020 si terranno negli Stati Uniti le elezioni per il nuovo Presidente. Due gli schieramenti che si contenderanno la poltrona più importante degli USA: Repubblicani e Democratici. Tra i Repubblicani la partita rischia di essere già chiusa in partenza, a favore del Presidente uscente Donald Trump, che già nel lontano 2017 espresse la sua volontà di ricandidarsi per un secondo mandato. Più complicata, invece, la situazione in casa Dem: lo sfidante verrà eletto in questi mesi tra una rosa di candidati, con un sistema di primarie alquanto complesso.
Come Frammenti Rivista, vi abbiamo preparato una guida sulle primarie democratiche, spiegandovi come, quando, dove si vota e quali sono i candidati in corsa. La pubblichiamo oggi nel giorno del Super Tuesday, uno degli appuntamenti più importanti di queste primarie. Come al solito scendiamo nel dettaglio, ma lo facciamo in modo estremamente semplice, quindi non abbiate paura. Buona lettura!
Quando si vota?
Il sistema utilizzato per l’elezione del candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti si suddivide in due fasi: le elezioni popolari (che vanno dal 3 febbraio al 6 giugno 2020) e la convention (che si terrà a Milwaukee tra il 13 e il 16 luglio).
Come si vota?
Le primarie, sia democratiche che repubblicane, sono molto complesse per quanto riguarda il sistema di elezione, ma i loro meccanismi sono regolati dalla legge e quindi non sono possibili fraintendimenti. Si tratta innanzitutto di elezioni indirette: gli elettori non votano direttamente i candidati che hanno intenzione di correre per la Casa Bianca, bensì i loro delegati, i quali poi, nella seconda fase (Convention di Milwakee), saranno vincolati a votare per il candidato del quale sono delegati.
Il sistema per eleggere i delegati non è affatto semplice: sarebbe più corretto infatti parlare di sistemi, dato che esistono quattro modalità di elezione dei delegati (primarie chiuse, semichiuse, aperte e caucus).
Procediamo con ordine: le primarie chiuse sono un sistema di voto in cui solo gli iscritti al partito (o da anni o da poche settimane, a seconda degli stati) possono recarsi al seggio per votare i vari delegati. Nelle primarie semichiuse, invece, i candidati possono essere votati sia dagli iscritti al partito sia dagli indipendenti. Nelle primarie aperte, infine, tutti possono votare i candidati: sia gli indipendenti sia gli iscritti al partito repubblicano sia gli iscritti al partito democratico. Nel caucus invece gli iscritti al partito si riuniscono in scuole, chiese o altri luoghi dove ascoltano l’arringa dei vari delegati (massimo 3 minuti ciascuno) e si dispongono, una volta terminati i mini-comizi, in gruppi in base alle varie fazioni. I gruppi che sono composti da meno del 5% dei presenti devono disperdersi nei gruppi più grandi già formatisi.
Le tempistiche
Quando e dove si terranno le primarie chiuse: Idaho il 10 marzo; Kansas il 2 maggio; Pennsylvania, Connecticut, Maryland, Delaware e New York il 28 aprile; Maine il 3 marzo; Oregon e Kentucky il 19 maggio; Arizona il 17 marzo; New Mexico il 2 giugno; e Louisiana, Alaska e Hawaii il 4 Aprile
Quando e dove si terranno o si sono tenute le primarie semichiuse: New Hampshire l’11 febbraio; Massachusetts, Colorado, Oklahoma, North Carolina e California il 3 marzo; Rhode Island il 28 aprile; New Jersey e South Dakota 2 giugno; Georgia il 24 marzo; Nebraska e West Virginia il 12 Maggio; Ohio il 17 Marzo
Quando e dove si terranno le primarie aperte: Washington, Missouri, Mississippi e Michigan il 10 marzo; Montana il 2 giugno; Minnesota, Vermont, Virginia, Utah, Tennessee, Arkansas, Texas e Alabama il 3 marzo; Wisconsin il 7 aprile; Illinois e Florida il 17 marzo; Indiana il 5 maggio; e South Carolina il 23 marzo.
Quando e dove si terranno o si sono tenuti i caucus: Iowa il 3 febbraio, North Dakota il 10 marzo; Wyoming il 4 aprile; Nevada il 22 febbraio; Samoa Americane il 3 marzo; Marianne settentrionali il 14 marzo; Guam il 2 maggio; e le isole vergini americane il 6 giugno.
In sei corrono per la nomination
La sfida all’interno del partito democratico quest’anno è particolarmente agguerrita, a differenza di quella all’interno del partito repubblicano (dove è praticamente certa la vittoria del presidente uscente), poiché si deve trovare una persona dal carisma e dalle proposte in grado di fronteggiare Trump. I candidati in origine erano 27 (non ce ne sono mai stati così tanti), ma man mano si sono ritirati o non hanno trovato i consensi sperati e la rosa dei nomi si è sfoltita, lasciando tra i probabili vincitori solamente Joe Biden, Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Michael Bloomberg (che scenderà però in campo con il super Tuesday).
I profili dei principali candidati
Bernie Sanders: 78 anni ma amatissimo dai giovani, punto forte la coerenza delle idee in tutta la sua lunga militanza politica (anche se i suoi oppositori lo accusano di non aver mai fatto nulla di concreto in tutto questo tempo). Vuole una political revolution volta ad una socialdemocrazia, da molti additata come troppo estremista anche se, a vederla con occhi europei, non lo si direbbe. È spesso attaccato dagli altri candidati per la sua tendenza a polarizzare il dibattito e in effetti fa spesso passare il messaggio che chi è a favore dello status quo è contro di lui, chi è a favore del cambiamento è con lui. Anonimo sindaco e senatore fino al 2016, quando sfidò Hillary Clinton alle primarie democratiche perdendo per poco, chiede il supporto finanziario ai suoi sostenitori per una campagna volta ad una più pesante tassazione dell’1% più ricco (o quantomeno a chiudere le “scappatoie fiscali” di cui spesso i più ricchi usufruiscono), con attenzione volta alla gratuità di college e servizi sanitari. In politica estera si è sempre distinto per la volontà di cessare gli interventi USA in Iraq, Afghanistan e Siria riportando a casa le truppe e iniziando un dialogo con l’Iran.
Joe Biden: classe 1942, anche lui politico di lunga data, già candidato nel 1988 e nel 2008 alle primarie democratiche. Vicepresidente di Obama dal 2009 al 2017, carismatico, considerato da molti troppo moderato. Popolare tra le comunità afro-americane (che gli hanno garantito una grande vittoria nel South Carolina), vuole college gratuiti, cancellare il Travel ban (divieto imposto da Trump ai cittadini di paesi a maggioranza islamica di entrare negli USA), alzare a 15$ il salario minimo orario e investire in infrastrutture per creare posti di lavoro. Carismatico, 1.6 miliardi di dollari di patrimonio, attaccato per la sua vicinanza ai Repubblicani (che è anche il suo punto di forza dal momento che gli consente di raccogliere consensi tra di loro), sembra essere il favorito nei sondaggi anche se, al momento, Sanders ha ottenuto un maggior numero di delegati.
Leggi anche:
Negli Stati Uniti si riapre il dibattito sulla pena di morte (merito anche del Colorado)
Elizabeth Warren: 70 anni, ex professoressa di legge, competente in materia economica, critica e visionaria negli anni della crisi economica, vuole una supertassa per i più ricchi al fine di garantire la nazionalizzazione dei servizi sanitari e offrire a tutti asili e college gratuiti. L’Economist afferma però che sarà impossibile realizzare ciò senza far pagare qualcosa anche alla middle class (come successe per l’Obamacare). E’ una dei candidati più a sinistra, nonostante si dichiari una convinta capitalista. Tra i suoi obiettivi anche penalizzare le multinazionali come Facebook (vuole obbligare Zuckerberg a vendere Whatsapp) e Bayer (vuole obbligare la multinazionale a vendere Monsanto).
Michael Bloomberg: la sua è una scelta insolita: presentarsi solo a partire dal Super Tuesday. Ricchissimo (patrimonio di oltre 30 miliardi di dollari), del 1942, vuole una sovrattassa sui redditi e in particolare una tassa del 5% aggiuntiva sui redditi superiori ai 5 milioni annui. Il ricavato sarebbe speso in istruzione, infrastrutture, misure a favore dell’ambiente e in sanità pubblica (da potenziare e affiancare a quella privata). Incerto tra le fazioni politiche (prima democratico, poi repubblicano, indipendente e infine democratico) e nella politica estera (non sembra abbia proposto qualcosa di importante al riguardo).
A che punto siamo?
Finora si è votato solo in Nevada, Iowa, New Hampshire e Carolina del Sud. In Nevada e New Hampshire Sanders si è rivelato vincitore, seguendo invece, in Iowa, di poco Pete Buttigieg (giovane, gay, rivelazione politica dell’anno, moderato), che il 1 marzo si è ritirato dopo essere passato dai 14 delegati ottenuti nell’Iowa (regione chiave dato che nel 70% dei casi chi ha vinto in Iowa ha poi vinto anche le primarie) e dai 9 del New Hampshire, all’8% dei voti (con nessun delegato) della South Carolina.
Joe Biden, dopo essere partito in sordina con i 6 delegati dell’Iowa e l’8% dei voti del New Hampshire, vince in South Carolina con ben 39 delegati ottenuti contro Sanders (che ne ha presi 15).
Elizabeth Warren non sta andando bene come sperava: ha ottenuto infatti finora solo 8 delegati (peraltro tutti nella votazione dell’Iowa). Ma tutto può cambiare con il Super Tuesday di questa notte, quando ben 14 stati andranno al voto assegnando una buona parte dei delegati complessivi. Sul piatto ci sono 1.327 delegati su quasi 4.000, circa un terzo dei delegati complessivi.
Andrea Potossi