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Protesta in Cile

La protesta del pueblo cileno, abbandonato dallo Stato

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Cala la sera, su Santiago del Cile. Scatta l’ora del coprifuoco e i militari iniziano a pattugliare le strade, in una città in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza. Il Cile si appresta a vivere la quarta settimana dall’inizio della sua più profonda crisi politica e sociale dal ritorno della democrazia, nel 1990.

protesta in Cile
Fonte: www.elpais.com

In realtà, a sorprendere è il fatto che, tra tutti i Paesi del Sud America, il Cile sembrava essere uno dei più stabili. Rialzatosi dopo la lunga dittatura di Augusto Pinochet, da qualche anno è ormai ancorato ad un alternarsi dei governi della socialista Michelle Bachelet (2006-2010, 2014-2018 e oggi è Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani) e del conservatore Sebastián Piñera (2010-2014, 2018-presente).

Una situazione, dunque, ben diversa rispetto alla profonda crisi attraversata dalla vicina Argentina o dalle tensioni del Brasile del sovranista Jain Bolsonaro, scosso dalla recente scarcerazione del carismatico ex presidente Lula. E come non ricordare il traballante scenario politico venezuelano, diviso tra i sostenitori di Juan Guaidó e i fedelissimi di Nicolás Maduro. Insomma, in questo panorama assai animato, il Cile sembrava aver trovato un certo equilibrio – se di equilibrio si può parlare, in un’area come l’America Latina che, storicamente, è sempre stata una polveriera

Le origini della protesta in Cile

All’inizio di tutto, una misura con cui si decide l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana. Ma questo è solo un pretesto, ne è consapevole il milione di persone scese in piazza nell’ultimo mese al grido di: «Il Cile si è svegliato!». Questa decisione, infatti, ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, dando sfogo al malcontento di chi credeva che la ricchezza generata dal modello economico ereditato dall’era Pinochet ed essenzialmente basato sulla privatizzazione dei principali settori un tempo pubblici, sarebbe ricaduta anche sul popolo cileno.

Un’immagine significativa accosta il volto del dittatore Pinochet a quello dell’attuale presidente, chiedendone le dimissioni. Fonte:www.lavanguardia.com

Lungi dall’essere un modello inattaccabile, le ricette economiche governative hanno rilevato le loro crepe. E a farne le spese è sempre la società civile. In Cile, più della metà della popolazione cilena vive con appena 600$ al mese, in una realtà in cui chi vuole – o ha bisogno – di un servizio, lo deve pagare. In cui il 60% della popolazione può godere di un’istruzione scolastica di base gratuita, ma poi l’accesso alle università è agevolato solo a chi ha beneficiato di una formazione più prestigiosa in istituti privati. In cui il sistema pensionistico è affidato a fondi privati e la pensione media mensile si aggira attorno ai 286$, quasi la metà del salario minimo. Ecco perché le proteste di questo ultimo mese coinvolgono e uniscono tutte le fasce d’età di una popolazione che si sente abbandonata dallo Stato e denuncia le disuguaglianze e l’infattibile mobilità sociale del Paese.

protesta in Cile
Un momento delle proteste antigovernative contro l’aumento del costo della vita a Santiago del Cile, il 20 ottobre 2019. Fonte: www.lifegate.it (Photo by Marcelo Hernandez/Getty Images)

Il Presidente Piñera ha prontamente tenuto un discorso nel quale ha annunciato la revoca della disposizione relativa alla metropolitana, oltre all’aumento delle pensioni e del salario minimo, ma la mobilitazione cittadina a favore di un Paese più equo non ha ancora conosciuto una tregua. E nelle strade si è tornato a cantare qualche inno dei tempi passati. «El pueblo, unido, jamás será vencido»

Popolo, governo e militari

Si sa, le rivolte o svaniscono nella polvere delle strade o acuiscono la loro portata. E il caso del Cile rientra nella seconda categoria. Atti vandalici per le vie del centro, autobus dati alle fiamme e saccheggi nei supermercati da parte di una minoranza dei contestatori, hanno allora spinto il Ministero della Difesa a mobilitare un contingente dell’esercito con il fine dichiarato di mantenere l’ordine pubblico.

protesta in Cile
Immagine di una marcia di studenti e docenti a Santiago del Cile, 30 ottobre 2019. Fonte: www.laprensa.com (Photo by EFE/Elvis González)

Poi la situazione è degenerata e si sono iniziate a contare le decine di morti, le centinaia di feriti da arma da fuoco, le oltre 2 mila persone detenute in quanto ribelli. E al cuore iniziale della protesta, si è aggiunta la denuncia degli abusi commessi da parte dell’esercito.

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Il direttore dell’Instituto Nacional de Derechos Humanos de Chile (INDH), Sergio Micco, ha espresso al governo la propria inquietudine per le ripetute violazioni dei diritti umani commesse durante le manifestazioni, annunciando l’avvio di un’indagine circa l’ipotizzata esistenza di un centro di tortura installato dalle forze di sicurezza nei sotterranei della fermata Baquedano della metro. Eppure ovunque, in città, sulle pareti degli edifici, si può leggere una scritta tracciata di rosso, «Aquí se torturó» monito tetro e doloroso che richiama alla mente il recente passato del Paese «para que nunca más».

Fonte: www.theclinic.cl

Nel corso di interventi pubblici ed interviste, Piñera ha in realtà chiesto perdono al proprio suo Paese, riconoscendo gli eccessi dell’esercito. Inoltre, pur assicurando la sua intenzione di rimanere in carica fino al termine del mandato, egli ha annunciato, nel tentativo di placare gli animi dei connazionali, una riforma costituzionale finalizzata a colmare le irrisolte disuguaglianze sociali. Perché è sorta proprio qui, la frattura tra popolo e governo, con quel modello economico all’apparenza vincente e miracoloso ma che, in verità, nascondeva delle crepe profonde ed ora viene messo in discussione.

Intanto Piñera promette di ascoltare la cittadinanza con «atención y humildad» perché «il mio dovere di presidente, e ho promesso di adempiere a tale dovere, è di migliorare la qualità della vita dei nostri cittadini». E nel frattempo è calata la notte, su Santiago del Cile. E domani sarà un altro giorno di protesta, per le vie della città.

Jennifer Marie Collavo

Nata nel '96 ma del secolo sbagliato, cresciuta in una famiglia multiculturale e multilingue. Una laurea in Conservazione e gestione dei beni culturali ed un'insopprimibile passione per tutto ciò che è antico, enigmatico e che esce dall'ordinario. Ama follemente i cipressi, Napoleone, la spumosa schiuma della birra e i viaggi on the road.