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La famiglia, la scuola e lo stare al mondo | Bar Europa

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Quando alle medie e al liceo tornavo a casa con un brutto voto o una nota da far firmare ai miei per presa visione, non c’era dubbio su di chi fosse la colpa. Mia.

Potevo perderci il fiato a dire che non ero stato capito o che gli insegnanti erano stati ingiusti. Per mia madre io avevo torto, gli insegnanti ragione. Se poi raccontando di come era andato un esame all’università dicevo che l’assistente o il professore erano stati eccessivamente severi, mio padre, di primo acchito, mi rispondeva che se lo erano stati era perché avevano i loro motivi. Insomma, per me e per quanto ne so anche per i miei coetanei e per quelli prima di noi, in caso di voto brutto, basso o nota, la presunzione di colpa era tutta a nostro carico, senza riserve e fino a prova contraria che, qualche volta, poteva anche venirci in soccorso a seguito degli insondabili colloqui dei genitori con i professori.

Da quei giorni è passato un po’ di tempo. Noi siamo cresciuti e sui banchi delle scuole e delle università si sono sedute nuove generazioni di studenti e matricole. Sono nove anni che, ogni anno, incontriamo studenti e insegnanti. L’Associazione “cento giovani” lo fa da più di trent’anni e da nove anni con Costituzionalmente: il coraggio di pensare con la propria testa e da tre con il Bar Europa incontriamo, ogni anno, studenti dei licei, degli istituti tecnici e universitari, e con loro avviamo dialoghi sull’essere umano, sui principi fondamentali della Costituzione e sull’idea di Europa, sull’evoluzione che hanno avuto nel tempo e all’interno della storia del mondo, su come li percepiamo e ce li rappresentiamo. Conversazioni aperte, a cavallo tra filosofia, storia, letteratura, arte, architettura e scienza, diritto ed economia, che, ogni anno, crescono di ritmo, di intensità e aumentano di profondità.

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Sono anni che gli insegnanti ci confermano quanto si legge, si ascolta e si vede sui vari media e sui social. Quella che abbiamo definito presunzione di colpa a nostro carico di studenti e fino a prova contraria, è stata completamente ribaltata ed oggi è completamente a carico degli insegnanti. «Mia figlia, mio figlio, meritavano di più», «sono preparati», «geni incompresi, sensibili, non possono aver detto o fatto questo e quello», «pensi a fare bene il suo lavoro altrimenti la denuncio!», e via dicendo, a ciascuno sarà capitato di sentirne altre da aggiungere alla lista.

Ricercarne tutte le ragioni e analizzarle è difficile. Descriverle in poche righe, frettolosamente e con pretesa di esaustività è presuntuoso ed inutile.

Con Mario Rusconi, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi e Alte Professionalità della Scuola (ANP) Lazio, ci siamo soffermati su due aspetti.

Il primo è familiare. Siamo passati, in relativamente poco tempo, da una società rigida ad una società libertaria. Siamo cresciuti in famiglie patriarcali e composte da genitori, nonni e zii generalmente molto presenti, all’interno delle quali ricevevamo indicazioni su come dovevamo comportarci, rimproveri, ogni tanto qualcuno qualche scappellotto, sculacciata o tirata d’orecchi.

È evidente che non mancavano eccessi e casi che, raccontati, farebbero venire i brividi per crudeltà, ingiustizia o anche solo abbandono. Resta il fatto che la maggior parte di noi, sicuramente fortunatissimi in questo senso, siamo stati educati al vivere insieme e al rispetto. In un modo o nell’altro, a saper stare al mondo.

Se ci guardiamo attorno, gli altri e noi stessi, non ci vuole molto per capire che qualcosa è cambiato. Lo studio, il lavoro, lo stile di vita e la carriera di entrambi i genitori su larga scala sono un inedito familiare.

Anche il mondo fuori è cambiato, il modo di relazionarci gli uni gli altri, di non darci delle priorità, di non sapere cosa vogliamo e di non essere mai contenti ai limiti dell’autosfruttamento, passando le giornate “a cercare Maria per Roma”, come si dice da queste parti.

Allo stesso tempo, però, vogliamo che i nostri figli dopo il nido e l’asilo non passino tanto tempo con i nonni e con gli zii perché ci diciamo che siamo i genitori e spetta a noi crescerli come si deve. Così li cresciamo ignorandoli quando ci mostrano il disegno che hanno appena realizzato o fanno i capricci per richiedere attenzioni e, stanchi di una giornata di lavoro come se nessuno mai prima avesse lavorato tanto, gli mettiamo in mano un telefonino con immagini e suoni alienanti per farli star buoni durante l’ora della pappa. Per non sentirli gli diciamo bravi senza che abbiamo aperto bocca e da grandi gli diciamo che sono i migliori, i più bravi, geni che reagiscono male alla prima persona che li contraddice, non li asseconda o gli mette un brutto voto. Generalizzo ed esagero perché, seppure siano tante le famiglie che crescono i propri figli con amore, attenzione ed autorevolezza, non mi discosto dalla realtà di un fenomeno diffuso.

A questo punto si capisce che è più semplice e deresponsabilizzante prendersela con gli insegnanti che non riescono a comprendere la genialità dei nostri figli che fare autocritica. Deresponsabilizzata la famiglia, la scuola ne risente.

Ma il saper stare al mondo non è solo una questione familiare e non dipende tutto dalla modernità. Di fronte a questi cambiamenti sociali e culturali, gli insegnanti non sempre sono preparati o motivati. Tra chi ha una preparazione di tipo libresco, chi ha perso la passione per l’insegnamento e chi non l’ha mai avuta, insegnanti senza motivazione o di ripiego, lasciano indifferenti gli studenti che, al contrario, rispondono benissimo a chi va oltre un insegnamento di superficie.

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Il secondo aspetto riguarda la scuola. In democrazia, l’istruzione non può poggiarsi soltanto sul volontarismo, ma deve potersi basare su un’organizzazione che lo Stato garantisce a tutta la società, che se non distingue tra un lavoratore, in questo caso un insegnante, che si impegna e non bada a sacrifici pur di raggiungere gli obiettivi, e lo tratta come quello che si dà molto poco da fare, è una società che deve ancora interiorizzare il concetto di merito e opportunità.

Come disse Piero Calamandrei nel 1950:

«A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.»

Piero Calamandrei

Per Piero Calamandrei, come del resto per i nostri padri costituenti, la scuola rappresenta un organo centrale della democrazia:

«perché – continuò nel suo discorso – serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società […]»

Tra Costituzionalmente e il Bar Europa, quest’anno, grazie all’ANP Lazio e a persone e partners eccezionali che con generosità hanno messo a disposizione quello che sanno, quello che fanno e il proprio tempo, abbiamo incontrato migliaia di studenti.

Assieme agli insegnanti abbiamo accompagnato gli studenti delle quinte classi alla maturità e con qualcuno abbiamo preparato la parte di colloquio dell’esame relativa alle attività condotte durante il percorso di studi con la Scuola sulla Complessità.

Foto dell’incontro “E’ permesso sperare?” che si è tenuto, nell’ambito della Scuola sulla Complesità, nella Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Sapienza”

Sappiamo per certo che i bravi insegnanti sono in grado di abbattere ogni differenza di opportunità tra centri e periferie delle città e della società, tra gli studenti che vivono nelle zone più disagiate e gli studenti che vivono nelle zone più agiate del Paese. Di riconoscergli, indistintamente, pari dignità.

X edizione “Premio Romei”

Agli studenti e agli insegnanti che rendono la scuola un luogo di trasformazione, di crescita e di riscatto sociale e culturale, dedico il Premio Romei che ho avuto l’onore di ricevere da Mario Rusconi, Giancarlo Galanti e l’ANP Lazio, nella X edizione, assieme a don Giulio Albanese, Vittorino Andreoli, Daniela Girgenti, Marco Minicucci, Sami Modiano, Susanna Tamaro, Bruno Vespa, e Alberto Villani.

Ne abbiamo parlato nel Bar Europa al Rock Night Show su Radio Godot con Mario Rusconi, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi e Alte Professionalità della Scuola (ANP) Lazio.

Buon ascolto!

 

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Michele Gerace

Scuola "cento giovani", avvocato, presidente dell'Osservatorio sulle Strategie Europee per la Crescita e l'Occupazione, fondatore tra i fondatori di Fonderie Digitali, ideatore di "Costituzionalmente: il coraggio di pensare con la propria testa", assiduo frequentatore del Bar Europa e dell'omonima rubrica al Rock Night Show su Radio Godot, alle prese con il diritto e le politiche dell'Unione europee. Responsabile del progetto "La Fondazione Luigi Einaudi per la Scuola". Alla ricerca di un principio costituente del mondo.

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