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«Nureyev»: talento, bellezza e ribellione

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4 minuti di lettura

Rudolf Nureyev viene al mondo nel 1938 su un treno della transiberiana, nei pressi di Irkutsk. Questa nascita sicuramente atipica segnerà la sua vita, rendendolo un apolide per natura, uno spirito libero insofferente alle regole e al di fuori di ogni schema. Cresciuto in una desolata cittadina ai margini dell’Unione Sovietica, imbrigliato in una società che sembra non offrire vie di fuga, Rudolf matura un latente spirito di ribellione che lo porterà a diventare simbolo di una libertà espressiva che non conosce limiti.

Nureyev – The White Crow : il regista

Alla regia di Nureyev – The White Crow, piccola perla del cinema estivo, ritroviamo Ralph Fiennes che, al suo terzo film da regista, si ritaglia qui il ruolo dello stimato maestro dell’Accademia Vaganova Alexander Pushkin, che per primo aveva riconosciuto in Nureyev la scintilla del genio. La grande conoscenza della cultura russa sta alla base della scelta di Fiennes di recitare nella lingua originale del suo personaggio.

Figlio di una famiglia di artisti (quattro dei suoi sei fratelli lavorano nel cinema e nel teatro), Ralph Fiennes è stato l’eroe romantico Heathcliff in Cime tempestose (1992), il conte ungherese László Almásy ne Il paziente inglese (1996), il protagonista di A bigger splash (2015) e lo spietato ufficiale nazista Amon Goeth in Schindler’s List (1993). Tra le sue produzioni come regista ricordiamo Coriolanus (2011) e The Invisible Woman (2013).

Nureyev

Il protagonista

In Nureyev – The White Crow, Fiennes affida il ruolo di protagonista a un affascinante Oleg Ivenko, primo ballerino del Teatro di Kazan, qui nella sua prima apparizione al cinema affiancato da un incisivo Sergei Polunin, étoile del Royal Ballet e stella riconosciuta a livello internazionale, noto per il suo grande talento e il suo carattere sopra le righe.

Oleg Ivenko a Parigi durante le riprese del film – fonte: https://www.imdb.com/name/nm8757483/?ref_=nm_mv_close

Nureyev: la storia

Tre diversi piani temporali si intrecciano nel film per raccontare i momenti salienti dell’ascesa al successo di uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi: l’infanzia, il suo inserimento nella compagnia del Teatro Kirov e la trasferta a Parigi nel 1961 che gli apre le porte della libertà.

Il regista usa il bianco e nero per raccontarci i tratti di un’infanzia di sacrifici e privazioni, a cui il piccolo Rudolf si sente estraneo. Ma il destino ha per lui altri progetti: la madre vince alla lotteria un biglietto per uno spettacolo al Teatro dell’Opera di Ufa e porta con sé i propri figli. Abbagliato dalla meraviglia dei palchi, del sipario, delle luci e dei costumi, Nureyev capisce che «il palcoscenico è la sua vita».

Nureyev

La sua affermazione all’interno della compagnia del Kirov, non è priva di difficoltà. Dotato di un pessimo carattere, refrattario ad ogni regola in un ambiente che vive solo di regole, Nureyev crea scompiglio tra ballerini e maestri che vedono in lui il miracoloso connubio tra perfezione artistica e carisma.

Nureyev

Parigi, 1961: la svolta

Nel 1961 arriva la svolta che segnerà la sua vita ed in qualche modo anche quella del mondo della danza. Nel pieno della guerra fredda, la compagnia di ballo di Kirov viene chiamata a esibirsi per la prima volta a Parigi. Nureyev, come sempre l’allievo più ribelle e talentuoso, è una mina vagante che il KGB difficilmente riesce a controllare. Il clima politico e sociale del tempo è molto teso, ma lui, a differenza dei suoi compagni, è sordo a ogni regola e raccomandazione. Esce da solo la mattina molto presto e si trattiene fuori la sera fino a tardi, frequenta francesi ed europei, padroneggia un buon inglese, si siede nei caffé parigini, va nei teatri e soprattutto visita i musei –  il Louvre è il suo prediletto. Capisce che solo l’assimilazione dell’arte in tutte le sue forme gli permetterà di esprimere quella bellezza attraverso la danza.

Il finale: la scelta della libertà

Il finale del film all’aeroporto di Bourget è un crescendo di intensità che riprende alcuni tratti delle più famose “spy story”. Diviso tra due mondi, l’Unione Sovietica e l’Occidente, Nureyev sceglie la libertà, rompendo le catene imposte da coloro che avrebbero voluto ingabbiarlo per “nutrirsi” del suo talento. Grazie all’aiuto dell’amica Clara Saint – interpretata da Adèle Exarchopoulos -, chiede l’asilo politico in Francia, realizzando finalmente ciò che la sua nascita sul treno aveva prospettato. La perdita del contatto con le proprie radici e con la propria famiglia diventano un passaggio necessario per permettergli di fare della danza il suo unico credo. Nureyev per natura non si schiera mai ma segue esclusivamente il suo sentire, volando sul mondo degli uomini per puntare a un livello di perfezione artistica che non conosce pari.   

La danza: tra disciplina e trasgressione

In Nureyev – The White Crow, Fiennes si ispira al volume Nureyev: The Life di Julie Kvanagh per rendere il proprio personale omaggio a uno dei suoi più grandi idoli. Riconosce in Nureyev una «forza interiore irrefrenabile», una «pulsione» votata alla trasgressione che, nel caso del celebre ballerino russo, esige il perdono anche per tutti quegli episodi di infantilismo, cattiveria ed egocentrismo che ne hanno plasmato la fama.  

Sullo sfondo della vicenda di Nureyev traspare il culto del corpo che, addomesticato dalla disciplina, si contrae, salta, corre, si piega e si distende regalando scene di grande intensità espressiva che hanno come sfondo una vibrante e maestosa Parigi, simbolo di un mondo libero e pieno di cultura pronto ad affacciarsi al futuro.

Il talento come processo di maturazione

Come cita lo stesso Fiennes nei panni del maestro Puskin, la vicenda di Nureyev ci insegna che la forza della danza sta nell’energia e nella vita di cui essa stessa è pregna. Oltre a essere un dono, il talento diventa qui un processo di maturazione, una consapevolezza delle proprie capacità e una presa di coscienza delle forze e delle debolezze del corpo. La sinergia che si crea tra mente e muscoli dà vita a un sistema logico dove nulla è forzato o fine a sè stesso, ma «tutti i passi sono collegati, vengono naturalmente uno dopo l’altro».

Nureyev e il vero senso della danza

Di fronte alla responsabilità di un’importante scelta artistica e, soprattutto, politica, la danza diventa ancora una volta per Nureyev un mezzo di emancipazione che da bambino lo aveva portato a staccarsi per la prima volta dalla mamma e che ora lo spinge a rinunciare per sempre alla propria patria. Perché fare tutto ciò? Nureyev decide di sacrificare il suo essere uomo per dedicarsi alla propria arte, forma espressiva per lui tanto vitale da emozionare chiunque assista ai suoi spettacoli. La profondità delle sue prestazioni è dovuta a un monito importante che riceve dal suo amato maestro Pushkin: non bisogna mai dimenticare «la storia che vogliamo raccontare», il messaggio quindi che vogliamo trasmettere a chi ci circonda.

La danza è un duro stile di vita destinato a qualcosa di più grande, un insieme di regole ferree fatte per essere infrante solo dai migliori, secondo un feroce atto di disobbedienza e, quindi, di vita.

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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