Ha speso parole in seno a questo la Banca d’Italia, i magistrati e diversi economisti e giuristi che vedono nella corruzione, e nell’annessa inerzia del Legislatore, uno dei gravi mali del nostro Paese. E’ qui che bisogna spiegare qual è il ruolo dello Stato nella regolazione del sistema economico. L’intervento dello Stato nell’economia – osteggiato dagli economisti mainstream, che ritengono che il mercato abbia la capacità di autoregolarsi senza l’ingerenza dello Stato – ha soprattutto una funzione regolatrice, atta a disciplinare il corretto funzionamento del sistema economico. Un sistema economico e politico basato sul clientelismo, sulla logica di potere e sull’idea che bisogna favorire gli amici degli amici, magari per avere qualche voto in più, o un qualche finanziamento, è un sistema illegale, ingiusto e assolutamente non democratico. Basti vedere i fenomeni di corruzione nei Comuni: dirigenti e sindaci risultano spesso inquisiti per la connivenza e la complicità a concedere appalti a imprese predeterminate. Un sistema del genere respinge gli investitori stranieri, istituzionalizza – di fatto – l’illegalità e getta un marchio abominevole sul nostro Paese, visto da tutti come la “Patria delle Mafie”, del conflitto di interessi e come sede del clientelismo più becero ed aberrante. E’ un sistema anticoncorrenziale poiché non premia gli imprenditori più efficienti, ma quelli più vicini a determinate posizioni di vertice. In più, in vista proprio della pericolosità, prevede grandi dispendi di risorse utilizzare nei controlli e negli accertamenti ex ante che deprimono la condizione delle finanze pubbliche agendo negativamente sul Pil.
Sono diverse le inchieste giudiziarie che hanno dimostrato quanto sia radicato nel nostro Paese il fenomeno della corruzione. Si assiste, alla fine degli anni ’80, alle inchieste sul processo di ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia denominata “Mani sul Territorio”, nel ’92-’93 si assiste all’inchiesta giudiziaria “Mani Pulite” – che ha smascherato un sistema di potere infetto e marcio e che ha individuato nella maggior parte dei Partiti la fonte di disonestà -, fino ad arrivare ai giorni nostri, con Expo, Mose, “Roma capitale” e La Tav – opera definita inutile dall’(in)attuale Presidente del consiglio Renzi. Sorge spontanea una domanda: ma tutte queste grandi opere, così indiziate, non vanno a modificare sensibilmente la nostra Spesa Pubblica andando a contraddire i paradigmi dell’austerità che prevedono una drastica riduzione di questa? La risposta è ancora più spontanea e drammatica: sì, ma, se da un lato alcuni politici corrotti preferiscono investire in grandi opere per rafforzare le loro posizioni e quelle dei loro amici, dall’altra si fanno portatori del messaggio rigorista – con la complicità di tv e giornali – da attuare indiscutibilmente. Sarebbe allora arrivato il momento di contrastare, con tutti i mezzi possibili, il fenomeno della corruzione con una legge seria che allunghi la prescrizione sui reati e che punisca seriamente i comportamenti riprovevoli. Sarebbe arrivato il momento di fare una legge seria sull’autoriciclaggio, sul falso in bilancio e sul tanto vituperato conflitto di interesse che, ormai da anni, affligge il nostro sistema politico ed economico. Tutti conoscono il nostro problema, ma nessuno si industria seriamente per risolverlo, perché manca la volontà politica. La verità è che sebbene negli anni si siano visti scandali di proporzioni gigantesche, nessuno si è mai battuto per risolvere il problema. Tutto, gattopardescamente, è cambiato perché non cambiasse nulla. Sono cambiati i nomi dei Partiti, i simboli e qualche faccia, ma non sono cambiare le logiche, non sono cambiate le menti, non sono cambiati, talvolta, neppure i protagonisti – si veda Primo Greganti, il compagno G., faccendiere ai tempi di tangentopoli implicato nell’affaire Expo. Sono passati vent’anni, dallo scandalo Mani Pulite, è finita la Prima Repubblica, ma non è cambiato niente. Qualcuno ritiene che sia iniziata addirittura la Terza Repubblica, ma non è ancora cambiato niente. Ma quanto dura, il gattopardismo?
Davide Cassese