Gli amanti dei film storici avranno esultato nel vedere il trailer di Mary Queen of Scots (2018), per la regia di Josie Rourke, con protagoniste due stelle emergenti di Hollywood quali Saoirse Ronan e Margot Robbie. Costumi firmati Alexandra Byrne, che già aveva vestito Cate Blanchett, nel 1998 e nel 2007, nei biopic Elizabeth e Elizabeth: The Golden Age. Successo assicurato? Non proprio.
Due regine e due donne: la resa scenica è un dramma adolescenziale
Non avere aspettative quando si entra in sala è quasi impossibile: una costumista d’eccezione, due attrici pluripremiate, e una vicenda storica carica di suggestione. La disillusione arriva però dopo poche scene. Come in molti, troppi, film degli ultimi anni che vogliono inutilmente seguire il filone del nuovo femminismo, anche in Mary Queen of Scots la fedeltà storica e l’attendibilità vengono sacrificate alla moda del tempo e alla voglia di far vedere il lato ‘umano’ dei protagonisti della storia.
Se registi come Sofia Coppola hanno saputo vincere a pieno questa scommessa giocando sul dettaglio e sull’accuratezza senza sconvolgere i personaggi, altri come appunto Josie Rourke scadono nel banale, se non addirittura nel ridicolo, facendoci vedere due ragazzine, una preda delle passioni, l’altra delle insicurezze, alle prese con drammi da adolescente alla Jeffrey Eugenides. Nonostante Saoirse Ronan sia ricca di pathos e la sua interpretazioni resti la più convincente del film (anche se, a guadagnarsi la nomination agli Oscar è la collega Margot Robbie per la Miglior Attrice Non Protagonista) il film resta di per sé inconsistente: Mary è una giovane arrogante, fatta passare per una paladina della giustizia, una santa martire della guerra fra chiesa cattolica e protestante, mentre ben attestata è la sua cospirazione contro la cugina inglese.
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Elizabeth, che Cate Blanchett ha reso ancor più indimenticabile, è fragile come una canna al vento, combattuta tra dovere e piacere, desiderosa di maternità. Un debole riscatto arriva alla fine, quando vediamo l’incontro (probabilmente mai avvenuto) fra le due regine, dove la risolutezza della Virgin Queen si mostra come una luce in fondo al tunnel. Se c’erano delle buone intenzioni, sono rimaste tali: il film si rivela inconcludente, poco veritiero; un altro tassello nel puzzle della ricostruzione storica ad opera dello pseudo femminismo. In conclusione: una partita non del tutto persa, ma decisamente da rigiocare.
I costumi di Alexandra Byrne: un altro successo per la costumista
La nota decisamente positiva sono i costumi, ma si gioca in casa quando si sceglie un’icona come Alexandra Byrne.
La sua ricostruzione degli abiti storici nei due Elizabeth, in Persuasione (1995), Amleto (1996) e in Neverland: un sogno per la vita (2004) è quasi perfetta, sulla buona strada per eguagliare lo splendore degli abiti di Gabriella Pescucci (Marie Antoinette, Agorà, Penny Dreadful). Costumi anacronistici, quelli di Mary Queen of Scots, interamente realizzati in denim, tessuto che all’epoca era usato solo da pirati e pescatori.
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La versatilità e resistenza del materiale, sottoposto allo stress di lunghe scene sui terreni fangosi di Scozia o a cavallo nelle Highlands, ha il valore simbolico che in Marie Antoinette avevano le Converse: quello di farci ricordare che, in un modo o nell’altro, si trattava pur sempre di due giovani donne. Sarebbe bastato questo geniale artificio per rendere in modo esaustivo il tema della giovane età.