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Maps to the stars : lo Stato etico di Hollywood

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4 minuti di lettura

Barbara Speca, nel quotidiano online del Partito Liberale Italiano, nel 2012 scriveva: 

«Lo Stato liberale si fonda sulla supremazia del diritto e della libertà dell’uomo, mentre uno Stato etico si pone come decisore, arbitro e giudice assoluto del bene e del male, come fonte dell’etica per il singolo e per la collettività, come l’unico creatore del bene comune. Lo Stato liberale, nella sua declinazione politica, non è uno Stato etico. «Volere e agire sono precisamente la stessa cosa che essere libero», afferma Voltaire (1694-1778), ciò che lo Stato etico rinnega.»

Speca si rifà a una tradizione consolidata sulla nozione di Stato etico che si origina con Hobbes e che prosegue con Giovanni Gentile passando per Hegel.
Questa tradizione può essere ben esemplificata da una citazione del De cive di Hobbes : «(uno stato etico è dove) la legge è il comando della persona, il cui precetto contiene la ragione dell’obbedienza.» L’obbedienza trova le sue ragioni nel comando che indirizza al bene l’intera comunità amministrata dallo Stato. Vedremo come questa impostazione si fonda su un fraintendimento dell’etica stessa.

Tradizionalmente lo stato etico è l’opposto dello stato liberale, è il nemico numero uno dello stato anarchico.
Ma, se noi prendiamo ad esempio ciò che dice Harold Brown sulla concezione aristotelica dell’etica, troviamo qualcosa di completamente diverso. Dal momento che Aristotele non metteva insieme l’etica e lo Stato, troviamo in lui la definizione più appropriata del sintagma “etica”. Dice Brown:

«Per Aristotele […] l’etica ha a che fare soltanto col comportamento umano, e, a motivo della complessità del comportamento umano, non esistono principi primi sulla cui base costruire un’etica. Le decisioni etiche richiedono una deliberazione, ossia la capacità di soppesare l’informazione e di prendere decisioni nei casi in cui non ci sia alcuna conoscenza necessaria.»

Quindi, possiamo ora dire che l’etica non è né una scienza, né un insieme di dottrine e teorie, bensì è il comportamento umano stesso nella sua verità biologica e inclinazione. In altre parole l’etica non è una disciplina normativa, ma neppure descrittiva: l’etica è la condotta, il costume degli uomini, cioè il comportamento.
Pertanto Stato Etico è un’espressione contraddittoria: non può esistere il controllo del comportamento umano da parte di una istituzione organizzata in base a regole universali, perché le regole sono principi e nessun principio è in grado di fondare una condotta una volta per tutte.
Uno Stato Etico sarebbe un’istituzione che si fonda esclusivamente sul comportamento degli uomini, non su questo o quel comportamento, ma su tutti i comportamenti. Uno Stato attento non a legittimare i comportamenti, ma a conoscerli.

Nel film di David Cronenberg, Maps to the stars (2013), vediamo una serie di comportamenti interni a una famiglia, cioè vediamo come si comportano le persone le une con le altre in una forma diversa dallo Stato, senonché le relazioni interpersonali espresse nel film riguardano un gruppo di persone più ampio composto da alcuni divi del cinema americano.
La sensazione che si ha è che quello che avviene, sebbene riguardi il comportamento di ogni singolo individuo, possa avvenire solo a certe condizioni: ricchezza, fama, potere e le loro conseguenze mischiate a disagi psichici e reazioni improvvise. Questa sensazione ci rivela che lo Stato è fuori dai giochi della quotidianità di quelle persone. Il luogo comune “chi ha il potere della legge se ne infischia” lo si percepisce a pieno.

Il turbamento psichico nella forma della liberazione individuale ci rivela che quasi tutti i personaggi avendo in mano il mondo non lo sappiano gestire. Questa incapacità fa il paio con quella dello Stato che è riflessa nei comportamenti di quelli che all’apparenza sembrano uomini e donne brillanti.

 

 

stato etico

 

 

 

Queste persone sembrano oppresse da nient’altro che dalla mancanza di libertà. Ma, come non si tratta di uno Stato etico tradizionale, i personaggi non desiderano nemmeno quel tipo di libertà offerta dallo Stato Liberale.
Essi vogliono essere liberi di compiere decisioni, di deliberare a loro piacimento, cioè di poter esternare un comportamento istintivo e sprezzante: il loro comportamento.

La poesia Liberté di Paul Éluard che viene citata più volte e con cui il film si conclude ci dice qualcosa di essenziale: la libertà è dovunque l’uomo riesca a prendersela. Ma al tempo stesso essa sembra essere ricercata disperatamente come se non fosse in nessuno dei luoghi citati dalla poesia, a tal punto introvabile che occorre scriverla per ricordarsene l’esistenza:

Su l’assenza che non chiede
Su la nuda solitudine
Su i gradini della morte
Scrivo il tuo nome
Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l’immemore speranza
Scrivo il tuo nome
E in virtù d’una Parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà.

«Sui gradini della morte» vuol proprio dire ciò che esprime il film: ogni giorno (gradino) della vita che porta alla morte, Agatha Weiss, di certo il personaggio più squilibrato dell’intero film (l’unica che cita la poesia), scrive Libertà proprio per cercare di essere libera oltre le incomprensioni e le strutture mentali ordinarie, per ricordare che l’umanità non è oggettiva e soprattutto vale di più degli oggetti. Agatha è pericolosa, mette in pericolo sé stessa e gli altri, per essere libera.

La scena finale, commovente e perturbante insieme, ci insegna una profondissima verità sulla natura umana in generale: l’intenzione non può cambiare se è rivolta alla libertà assoluta. Non si può essere liberi un po’ di tempo e poi rinnegare di esserlo stati o tornare a rassegnarsi alle evidenze della vita (i valori, le leggi morali, le leggi giuridiche). Ma l’unico modo di essere liberi davvero, questo vuole dirci Cronenberg, è talmente radicale che non ci lascia sopravvivere.

Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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