Artisti coenesque
Registi, sceneggiatori, produttori, perfino montatori (sotto lo pseudonimo di Roderick Jaynes). Irriverenti, sfacciati eppure sempre appassionanti, potenti. I maestri del concetto profondo raggiunto e vissuto con leggerezza estrema.
Eccoli, Joel ed Ethan Coen, il regista a due teste del cinema contemporaneo. E in attesa della loro ultima opera – La ballata di Buster Scruggs, disponibile su Netflix a partire dal 16 novembre – abbiamo dato uno sguardo all’anatomia del loro cinema più da vicino, per capire cosa lo rende così speciale.
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Coenesque: definizione e significato
Cosa rende, dunque davvero un film dei Coen un film dei Coen?
Il dizionario inglese addirittura contiene un termine, «coenesque», che si riferisce ad un mix di trame complesse e bizzarre, black humor e allusioni continue ai grandi classici del cinema.
Coenesque è quindi una sintesi puntuale del prodotto (sempre di qualità) di questi due artisti contemporanei, che ci parlano da sempre con un codice ben preciso, pulito, coniato da loro stessi pellicola dopo pellicola.
Dopotutto, chiunque abbia visto anche solo un paio dei loro film facilmente si è affezionato a quella sensazione di attesa del loro ennesimo regalo alla storia del cinema, prima del quale in un certo senso è già chiaro cosa si vedrà, ma allo stesso tempo si parte totalmente al buio.
La loro poetica è ben definita e sempre attuale, spontanea, senza bisogno di cambiamenti o rivoluzioni da un film all’altro. Eppure allo stesso tempo ogni fotogramma, ogni spezzone di dialogo è un microscopico stravolgimento della trama, della loro filmografia, dello spettatore stesso.
E tutto questo avviene mentre si ride, si piange, si trema o comunque si resta incollati allo schermo percorrendo la strada verso la fine del film insieme a personaggi che si possono definire con una parola semplicissima: vivi. Per quanto pazzeschi.
Ma cerchiamo di capire qual è, in breve, la ricetta per un risultato così denso e originale. Quali sono insomma i 10 ingredienti del Coenesque?
1 – Crimini ed errori di calcolo
Una valigetta piena di soldi abbandonata sulla scena di un crimine, uno scambio di persona, un finto rapimento. Che sia l’uno o l’altro evento, fatto sta che di mezzo c’è sempre un crimine andato storto, un errore in qualcosa di più grande dei personaggi, una coincidenza sfortunata.
Che diventa sempre più grande man mano che gli errori aumentano: perché i protagonisti dei film coenesque raramente scelgono la via della giustizia. E per quanto le loro ragioni (per lo meno all’inizio) siano sempre o quasi sempre nobili, l’errore umano non paga: e le situazioni si ingigantiscono. E il fiato rimane sospeso…
2- Un Dio capriccioso
Il Karma, Dio, la sfortuna. Chiamiamola come vogliamo, quest’assenza che però ha un suo peso specifico in tutte le pellicole dei Coen. E comunque la chiamiamo si comporta sempre allo stesso modo: come un bambino che schiaccia una formica. Non ha e non dà ragioni, c’è chi riesce a sfuggirle e chi invece resta invischiato.
E in questo senso va l’uso esasperato della coincidenza, del caso, che sa essere l’unico ordine della trama e l’unica certezza dei personaggi, per quanto frustrante sia. Insomma, una realtà non poi così distante dalla nostra.
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3- Giustizia dove?
Difficile anche il rapporto dei personaggi con la giustizia. Le punizioni, quelle abbondano, come abbondano i cattivi. E come abbondano i buoni che ci si ritrovano, in mezzo ai cattivi, e come spesso capita non fanno che seguire l’onda sperando di cavarsela.
Ma il mondo dei mostri, si sa, non è né piacevole né facile da gestire. Specialmente se non se ne fa naturalmente parte.
4 – Protagonisti = antagonisti
Se decidiamo di metterci in viaggio per l’universo dei Coen, incapperemo in personaggi unici, fortemente caratterizzati, estremamente umani in ogni loro scelta.
E forse è proprio questa la ragione per cui fin troppo spesso i protagonisti di queste storie finiscono per essere i nemici di loro stessi. Le loro scelte discutibili dipingono la trama, e forse sono proprio ciò che li rende così credibili e veri ai nostri occhi, per quanto caricaturale sia il loro ritratto.
Nell’opera dei Coen l’errore umano è esasperato, portato al limite. Eppure, per quanto sappiamo che è sbagliato far finta di rapire nostra moglie e prendere una mazzetta in cambio di un buon voto o a buon senso non ci sogneremmo mai di prendere dei soldi dalla scena di un crimine, non possiamo fare a meno di empatizzare verso questi conquistadores dell’assurdo, sperando sempre per il loro meglio.
5 – I luoghi.
Sometimes, there’s a man. Well, he’s the man for his time and place. He fits right in there.
the Big Lebowski
Ci sono storie che appartengono al loro luogo natale e non sarebbero potute accadere da nessun’altra parte. Joel ed Ethan Coen lo sanno bene, e non smettono di sottolinearlo in ogni loro pellicola. Dagli accenti, alle parole, agli stili di vita fino alle azioni in sé, i personaggi sono tutti estremamente radicati, legati al setting come pesci in un acquario.
I fatti di Fargo non sarebbero potuti esistere se non a Fargo, e The big Lebowski non sarebbe quello che è se non ambientato a Los Angeles nei primi anni 90, nel periodo della guerra del golfo. Ci sono briciole legate ai luoghi e alla storia ad ogni frame, e vale la pena rivedere ogni film per dare importanza, oltre che alla trama e ai colpi di scena, anche a queste minuscole perle.
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6 – Non una storia ma un universo
Nella maggior parte dei film coenesque troviamo finali che vanno oltre la storia principale. Questo perché i due registi creano non solo una trama precisa, ma un piccolo universo.
Universo che anche al termine del film ci dà l’idea di proseguire spontaneamente andando in chissà quale direzione, fino a che non torneremo a rivedere il film. Insomma, una storia finisce, la vita continua.
7 – Riferimenti culturali
O brother where art thou? non è che l’Odissea omerica ambientata nel Missisippi. Non solo, il titolo del film deriva da Sullivan’s travels, di Preston Sturges, film del 1941 nel quale un regista vorrebbe girare un film dal titolo… indovinate quale?
The big Lebowski riprende l’ambiente dei romanzi di Raymond Chandler, la coreografia della sirena in Ave Cesare è ispirata alle coreografie di Busby Berkeley. Miller’s crossing si ispira ai romanzi di Dashiell Hammett, Barton fink parte dall’opera di Jim Thompson A Hell of a woman. A serious man deriva dalla storia di Giobbe, nel libro più antico del mondo: la Bibbia.
E così via: ogni opera coenesque è un’oasi di riferimenti culturali, alla storia del cinema ma non solo.
8 – La regia
Senza ostentare troppi tecnicismi o soffermarsi troppo sulla metodologia dei nostri due artisti, abbiamo comunque l’opportunità di apprezzare la loro regia grazie a strumenti semplici, ricorrenti ed utilizzati con grande maestria.
Per esempio la camera invadente che si avvicina per apprezzare il loro occhio sempre troppo ai volti dei personaggi, portando alle sensazioni più disparate – dall’imbarazzo all’empatia estrema. I dialoghi in macchina impostati in maniera sempre simile, l’immagine ormai familiare di qualche personaggio grasso che urla fortissimo.
Non bastano questi tre o quattro dettagli a definire la poetica e il lavoro dei Coen, ma sono comunque utili a noi – che amiamo il cinema ma non lo studiamo – per apprezzare il loro occhio e affezionarci ad esso come se fosse un ulteriore personaggio, mentre con il suo carattere forte delinea la storia e le dà un gusto riconoscibile al 100%.
9 – Le domande
Ah, i film che portano al dubbio.
Quelli che mettono voglia di domandarsi, di cercare, di chiedere agli altri come l’hanno interpretato ma soprattutto di tornare indietro e rivederli, perché sicuramente qualcosa è sfuggito, perché sicuramente c’è un perché ben preciso a quel maledetto finale.
Dunque si riprende la pellicola e la si fa ripartire, qualche tempo dopo, in un momento diverso. Già, peccato che i fratelli Coen siano ben consci di non doverci nessuna spiegazione per il corso degli eventi.
Proprio come non riceviamo nessuna spiegazione nella vita. E possiamo darci le risposte che vogliamo ai nostri perché, ma la verità è che siamo messi allo stesso livello dei personaggi: incapaci di comprendere perché la vita non si comprende, si vive e basta. Ridendo, piangendo, innamorandoci, combattendo. Accettando quello che arriva e prendendolo per buono, perché davvero non possiamo fare altro.
10 – Conclusioni:
Il protagonista non cresce, non impara, non migliora per forza.
Di solito non ottiene nemmeno quello che desiderava.E proprio come nella vita si suol dire spesso, quello che conta è il viaggio!
La vita è misteriosa e piena di incertezze. Non sappiamo quello che succederà dopo, l’unica sicurezza è che qualcosa succederà.
E l’unica soluzione è accettare quest’assurdo tragicomico e andare sempre avanti. Fino alla prossima avventura…o fino al prossimo film dei Coen!
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