La fortuna di Omar Nedjari e Marika Pensa tratta dal (non famosissimo) testo di Carlo Goldoni, Il Giuocatore e dal (molto più conosciuto) testo di Dostoevskij, Il giocatore, va in scena per la prima volta al Teatro Delfino.
Li abbiamo visti nell’omonimo mediometraggio sponsorizzato anche dal progetto di Milano No-Slot finalizzato alla sensibilizzazione sulle ludopatie, veri e propri malanni che stanno infettando sempre più persone in Italia e soprattutto i giovani.
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Una drammaturgia ben combinata
Gli autori de La fortuna sono stati capaci di amalgamare perfettamente le due fonti da cui hanno tratto un testo unico e scorrevole. Accanto alle maschere classiche della commedia goldoniana ci sono Florindo, consumato dalla sua mania, inseguito dai mostri della sua mente e dalle voci degli amati che ha deluso, e Beatrice, donna qui capace di manovrare la mente del protagonista a suo piacimento.
Riflessioni sul gioco tratte dal romanzo, scambi di battute significativi tra i due promessi sposi Florindo e Rosaura elevano la commedia a un livello più profondo, senza rinunciare agli immancabili dialoghi da teatro dell’arte tra Brighella e Pantalone.
Una storia che racconta in modo semplice, ma non per questo scontato, la veloce caduta verso il baratro della dipendenza.
Raccontare una bruttura
Ricco di immagini intense, lo spettacolo punta anche ad un’estetica che è gradevole all’occhio e porta il pubblico a seguire le scene con piacevolezza.
La Fortuna si presenta proprio come uno scrigno pieno di tesori: luci al neon molto brillanti che si mescolano a tendaggi dall’aspetto consumato che separano i diversi luoghi della storia, le voci degli attori che fanno da colonna sonora e da ricordo del protagonista, una mescolanza tra classico e moderno che crea un’immagine del tutto nuova, inscindibile nelle sue due parti.
Una dualità che si ripete dunque a rappresentanza della conflittualità insita nel giocatore: la voglia di continuare a tentare la sorte e la paura di deludere i propri cari.
Una divisione causata dal gioco
Florindo è un giocatore diviso: è promesso a Rosaura, figlia di Pantalone, ma è invaghito della bella Beatrice, manipolatrice capace. È anche diviso tra due mondi: il mondo reale affumicato dal gioco e da notti insonni, e quello dei sogni, abitato dall’astuto Arlecchino. Questi è il gioco: astuto, ladro, complice e accusatore, allegro e insidioso.
Affiancato da Brighella, che cerca di aiutarlo invano, il protagonista si caccia in una spirale folle di debiti di gioco che lo porterà a rubare con l’inganno la collana della sua stessa fidanzata.
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Scena eccezionale nella realizzazione perché vediamo Florindo coperto dal velo della sua malattia chiedere e tendere la mano, che sembra sincera, verso l’amata per privarla della collana che è appartenuta a sua madre e alle generazioni prima di lei. Un distacco del protagonista dalla realtà che lo porterà a raggiungere il punto più basso della sua vita, tanto da perdere quella stessa collana.
Un’unione fortunata
Il forte collegamento alla tradizione teatrale italiana del settecento, l’unione con un romanzo di uno degli autori più importanti della letteratura e la tematica significativa, rende La fortuna uno spettacolo ampio nella sua semplicità, che tocca molti ambiti della nostra cultura e soprattutto della nostra società tutt’oggi ancora fragile e non del tutto capace di affrontare problemi segnanti come quello della ludopatia.
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