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Wes Anderson e la maniacale cura del dettaglio

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Figlio di un’archeologa e un pubblicitario, Wes Anderson nasce a Houston nel ’69. I suoi genitori divorziano quando lui ha solo 8 anni. Studia filosofia alla “University of Texas” dove conosce Owen e Luke Wilson con i quali collaborerà in diversi suoi film. In questi anni dirige Bottle Rocket, un cortometraggio che, attraverso l’aiuto del produttore James Brooks, viene presentato al Sundance Film Festival nel ’94. Due anni dopo uscirà la sua opera prima, omonima. Ad oggi, W.A. ha diretto 8 film, 2 cortometraggi e diverse pubblicità per Prada, Stella Artois, Hyundai e American Express, ricevendo più di trenta premi in tutto il mondo, tra cui il Jury Grand Prix (orso d’argento) alla Berlinale per The Grand Budapest Hotel. È sposato con la scrittrice libanese Juman Malouf con la quale vive tra Parigi e New York. Fra i suoi antenati figura Edgar Rice Burroughs.

Fin dal suo esordio, Anderson mostra grande personalità registica su tutti i livelli: sebbene la sua abilità di director si sia evoluta durante la carriera, il suo stile è rimasto pressoché invariato, portandolo ad essere uno dei registi più riconoscibili nel panorama cinematografico americano. Amante del dettaglio, Wes sviluppa una sorta di feticismo nei confronti degli oggetti, con una predisposizione al catalogo, a partire dalla suddivisione in capitoli, molto frequente nei suoi lungometraggi, fino alla messinscena che sembra ordinata da un ossessivo-compulsivo.

La predilezione di Wes Anderson per i piano-sequenza simmetrici, i colori pastello, i costumi vintage e le musiche degli anni ’60, gli permette di estrarre dal tempo i luoghi della sue narrazioni, sospendendoli in un passato mai esistito. E questo spazio/tempo onirico che si viene a creare è il terreno perfetto per raccontare le storie dei suoi personaggi, sempre fortemente stereotipati e caratterizzati da una solitudine interiore che solo apparentemente è in contrasto con lo stile favolistico delle sue opere. Spesso però il modus operandi in questione è motivo di critiche negative da parte di chi vede nei film di Anderson delle commedie semplici, a volte banali e fini a se stesse, che non riescono ad elevarsi al di sopra di un mero esercizio di stile autocelebrativo. Ciononostante, per le stesse ragioni, egli riesce a conquistare l’ammirazione e il rispetto di molti (Martin Scorsese definisce Bottle Rocket come uno tra i migliori film degli anni ’90), al punto tale da poter sempre far conto su cast eccezionali: diversi attori famosi come Adrien Brody, Bruce Willis, Edward Norton e Ralph Fiennes rinunciano ai loro soliti compensi pur di lavorare con lui; addirittura per delle parti molto brevi e marginali, come con Jude Law e Natalie Portman.

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Anche le tematiche che affronta si ripetono costantemente: nei suoi film infatti la famiglia, e più in generale la fiducia che essa dovrebbe rappresentare, è il nucleo principale intorno a cui si sviluppano i conflitti di tutti i suoi protagonisti. Se si fa un compendio (parziale) delle sue pellicole si nota che: in Bottle Rocket (Un colpo da dilettanti in italiano) c’è la ricerca di una nuova famiglia nell’amicizia (non a caso è stato scritto ai tempi dell’università) rafforzata nel commetter un furto, un atto sovversivo e quasi esorcizzante nel suo stringere un legame; ne I Tenenbaum c’è il tentativo di riallacciare un rapporto tra padre e figli per mezzo di un sotterfugio; in Un treno per Darjeeling quello di riunire tre fratelli attraverso un viaggio catartico in India; in Moonrise Kingdom l’abbandono della propria famiglia tramite una poetica fuga d’amore; per finire in The Grand Budapest Hotel  i due protagonisti, entrambi senza famiglia (family? Zero) si identificano rispettivamente come padre e figlio. È la ricerca di un’appartenenza che ossessiona Wes Anderson, il quale insiste nel far precipitare i suoi personaggi nel fallimento per poi condurli, attraverso una presa di coscienza, ad un livello più elevato rispetto a quello al quale erano partiti, fino al (quasi) lieto fine. E se in questo “gioco”, probabilmente di origine autobiografica, il suo psicanalista di certo ha materiale da cui pescare, lo spettatore viene invitato a giocare confrontando sé con le strambe indoli dei protagonisti, permettendo ai film di comunicare qualcosa di meno fantasioso di quanto i colori, le ambientazioni e le piccole animazioni possano far sembrare.

Il film della settimana:
I Tenenbaum (The Royal Tenenbaums)

Royal Tenenbaum è un avvocato espulso dall’albo e caduto in disgrazia, che vive in un hotel di lusso da quando si è separato dalla moglie ma dopo vent’anni non ha più finanze per permetterselo. Attraverso un sotterfugio cerca di riprendere il suo posto di capofamiglia riallacciando i rapporti con i tre figli, un tempo considerati dei ragazzi prodigio, ma anch’essi persi nella loro vita adulta in cui la fiamma del loro giovanile talento s’è consumata.  

Daniele Tommaso Colombo

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Redazione

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