I festeggiamenti per il duecentesimo compleanno di Wagner in Italia vedono protagonista l’Olandese Volante, rappresentato con allestimenti diversi in molti teatri della Penisola. Anche il Teatro Comunale di Bologna ha deciso di offrire al suo pubblico una bella edizione del capolavoro giovanile wagneriano, ben raccontato dalla regia di Yannis Kokkos (qui già vista nel 2000, e ripresa da Stephan Grogler). Apprezzo molto lo stile visionario del regista greco naturalizzato francese, che calza a pennello con un’opera estremamente inquietante quale è l’Olandese. La spettralità di libretto e partitura è posta sulla scena tra fumi, tenebre, apparizioni vagamente infernali. Sembra, e il merito va dato soprattutto a Wagner oltre che a Kokkos, di sentire la propria pelle fradicia del mare norvegese, nero come quello dell’epica greca. E il rapporto fra mito greco e leggenda romantica sembra essere una delle tematiche più indagate, in maniera sotterranea, dal genio tedesco: i suoi “drammi musicali” sono sempre avvolti da una ancestrale patina di sacralità, le note sembrano sgorgare da un silenzio originale (esempio preclaro ne è il preludio della Rheingold). Una concezione così, oso dire, misterica del teatro prende avvio con l’Olandese Volante, nel quale per la prima volta sono ravvisabili gli stilemi che, affinati e sviluppati, caratterizzeranno l’intera produzione del lipsiense. Kokkos è stato molto bravo nel comprendere la natura del testo e della musica, regalando un allestimento denso di poesia e tensione narrativa. Molto efficace la scenografia comprendente un enorme specchio.
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Il lato musicale dello spettacolo era contraddistinto dalla lentezza della direzione di Stefan Anton Reck. Una scelta che può mettere o meno d’accordo, ma che, in maniera inedita, ha conferito all’Olandese un tocco di italianità per via delle ampie campate melodiche che spesso venivano a formarsi. Se non fosse stato per l’opulenza dell’orchestrazione, certe note in staccato, molto marcate, sarebbero parse sottilmente mozartiane. La compagnia di canto presente alla recita di sabato 16 marzo si è rivelata all’altezza. A dominare la serata Elena Popovskaya, dotata di bellissimo timbro autenticamente sopranile e di acuti ben proiettati. Molto positiva anche la prova di Thomas Hall, l’Olandese, tutta puntata su un fraseggio finemente lavorato con cura certosina. Sufficiente Mika Kares, basso profondo il cui unico difetto sono proprio le note gravi, che rivelano una difficoltà nell’emissione. Non proprio l’ideale, ma nel complesso una prestazione onesta. Chi invece non ha soddisfatto è Charles Workman, che ha dato vita ad un Erik piuttosto monocorde, dalla voce affaticata, priva di lirismo romantico, e dagli acuti a rischio sfaldamento. Al termine della recita tutti gli artisti sono stati applauditi con calore. I wagneriani bolognesi hanno già iniziato l’attesa per l’appuntamento imprescindibile con il bel Parsifal del prossimo gennaio.
Michele Donati
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