La mostra del cinema di Venezia chiude il sipario con Driven, ultimo film di Nick Hamm che guarda al sogno americano con ironia e intelligenza. Un racconto ispirato a fatti reali che, lasciando spazio alla commedia, accenna un piacevole thriller.
Ispirato a fatti realmente accaduti
Ogni grande storia ha inizio da un incontro. A volte banale, come tra due amanti, a volte meno, come tra due furfanti. Questa, è la storia di entrambi i casi (o quasi). Jim Hoffman e John Delorean. Da una parte un pilota d’aerei invischiato tanto nell traffico di cocaina quanto con l’FBI, dall’altra uno dei più importanti imprenditori statunitensi, inventore tra le varie della GTO e, appunto, della Delorean. Due delle più famose “muscle car” della storia.
È la distanza di mondi a far legare i due uomini così apparentemente diversi, la cui storia, tratta da fatti realmente accaduti, attraversa un periodo storico fatto di carrozzerie lucide, ottimismo e, soprattutto, glorificazione dell’american dream.
Una serie di (s)fortunati eventi, esemplificazione narrativa delle infinite vie del sogno americano, li porta dunque a stringere amicizia, permettendoci di sbirciare nell’ascesa (e discesa) di un uomo che per realizzare se stesso fu disposto ad ogni cosa. E no, non stiamo facendo totalmente riferimento a John Delorean e alla sua sfortunata macchina dalle ali di gabbiano.
Quando il ritmo è tutto
È infatti Jim Hoffman il vero turbolento centro di quest’ironica, seppur credibile, trasposizione dell’america anni ’70. Pilota e padre di famiglia dovrebbe probabilmente fungere da chiave d’accesso per il mondo della carismatica controparte, il signor Delorean, ma in poco tempo si guadagna l’amore del pubblico divenendo l’unico punto di interesse in una storia diversamente già vista. Nick Hamm, già regista di The Journey, gioca così tutte le fiches per differenziare la narrazione, puntando sul ritmo dell’intreccio, piacevolmente confusionario, e sulla qualità dei dialoghi, stratificati a sufficienza da poterne leggere più critiche all’America narrata e a quella presente. Il risultato è vincente e l’accoppiata di attori, Jason Sudeikis e Lee Pace, guidano senza sbavature eventi imprevedibili e conversazioni al limite del surreale.
Ecco allora che Driven si tira fuori da quell’ampio pentolone di film biografici sul sogno americano, applicando il modello recentemente ridefinito da Tonya di Craig Gillespie e raccontando una delle più false delle vere storie americane.
Tratto da una storia vera diventa così la prima delle continue, e mai scontate, battute del film. Perché per quanto interessante possa essere scoprire l’intricato intreccio di eventi che legarono un capitalista egocentrico, un pilota d’aerei e l’FBI ad una stessa storia, ancora più affascinante è come questo possa essere magnificamente posto in scena senza troppi riguardi sull’esatta storicità di ogni singolo passaggio. Vince così l’intrattenimento, ma intelligente e mai scontato, il cui vero centro narrativo è l’ambiguo susseguirsi di continue domande. Dopo tutto, nemmeno il suo regista sembra (voler) avere le risposte:
« DeLorean è un truffatore o un genio della creatività? Hoffman è una canaglia o un amico il cui passato danneggia irrimediabilmente tutte le persone intorno a lui? Voglio che il pubblico si goda questa avventura rock’n’roll e decida autonomamente».
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