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«Shadow», l’identità di un’ombra nel nuovo film di Zhang Yimou è cinema che ammalia

Ombre e arti marziali. Zhang Yimou torna con il Jack Sparrow d'Oriente. Cosa aspettarci da questo film?

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In patria lo chiamano The National Master, in America Quentin Tarantino stravede per lui e ieri sera, 6 settembre, a Venezia, ha ricevuto lo Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker, il premio dedicato agli artisti che hanno «segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo». E non potrebbe esistere onorificenza diversa per Zhang Yimoul’uomo che ha ridefinito i canoni di quest’arte presentando un cinema cinese che ammalia il mondo da quasi trent’anni. Un vizio, quello di affascinare, che non è mancato certo all’anteprima del suo nuovo film di genere wuxia, Shadow.

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Epica e tragedia dal romanzo dei tre regni

Shadow, tratto dal Romanzo dei tre regni, è un classico epico della letteratura cinese che narra le vicende politiche, e solo in parte amorose, degli uomini e delle donne alla corte di un re infantile e codardo. Mentre esso conduce una politica di pace assoluta con gli usurpatori del regno, più per paura che per ideologia; il suo gran generale, segretamente malato, architetta un’ultima grande battaglia da condurre attraverso il suo doppio, il suo sosia: la sua ombra. Le ombre, figure storicamente esistite nell’antica cina, erano infatti uomini senza nome o titolo, la cui somiglianza con il padrone permetteva loro di sostituirlo in momenti di massima pericolosità o di morte sicura. Questa storia, intrecciata abilmente in un soggetto ben equilibrato e mai cervellotico, è la storia di un’ombra. Il giusto inno a tutti quegli uomini e donne la cui identità è stata strappata dalle pagine della storia.

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Zhang Yimou gioca allora sul tema dell’identità inserendolo tanto nella ricerca del suo protagonista, diviso tra l’apprendimento di una misteriosa tecnica di combattimento e gli intrecci politici, quanto nei gesti delle donne che popolano la corte. La sorella del Re e la moglie del generale cercano anch’esse, infatti, di comprendere il proprio posto in questa complessa rete di doveri e tradizioni agendo in maniera talmente netta da porre se stesse in pericolo e rappresentando, così, la quota tragica di questo già complesso incrocio di generi.

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Quando la pioggia incontra le arti marziali

Lento, silenzioso, intenso, l’ultima pellicola del maestro cinese è graffite stesa sulla più fine delle carte. Inciso con una filigrana che finge il bianco e nero, senza però mai cedervi totalmente, e dunque immerso in una fotografia che vive di ombre impercettibili e silenzi profondissimi. Zhang Yimou si allontana così dallo stile acceso dei suoi precedenti film wuxia (particolare genere letterario e cinematografico legato al mondo delle arti marziali in ambiente cavalleresco) che da Hero (2002) a la città proibita (2006) avevano fatto del colore la spina dorsale di un’estetica dinamica e, giustamente, efficace in ogni combattimento. Non è però l’assenza di luce, o meglio il suo controllo, a fermare l’amore del regista per le arti marziali le quali, non solo trovano spazio in splendide sequenze sempre troppo brevi, ma si adattano inoltre, con brillante inventiva, al nuovo ambiente del racconto. Si definisce così un chiaro sodalizio tra la pioggia e la spada, ampliando il discorso stilistico e retorico, iniziato anni fa con Hero, sulla natura di quest’arte antica e misteriosa.

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Dove si continua a storcere il naso, però, è ancora la qualità dei campi lunghi sui paesaggi in cui regna la CG. La computer grafica resta, infatti, lontana dagli standard a cui ci stanno abituando le majors statunitensi, ma per fortuna è limitata agli sguardi ampi di questo mondo che, essendo fondato sull’intrecciarsi di rapporti e imbrogli, invita al primo piano e allo sguardo ravvicinato. Una prospettiva che valorizza gli spazi asettici di una corte costruita nella roccia e che lascia grande respiro ai suoi inquilini, recitati con passione, metodo e abilità. Zheng Kai in particolar modo è un re infantile perfetto, dalle movenze veloci e dinoccolate come un Jack Sparrow d’Oriente

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Dopo l’infelice parentesi del blockbuster sino-americano con Matt Damon, The Great Wall, Zhang Yimou torna ad un cinema più sottile e sentito, capace di unire le forme dell’epica, il romanzo d’amore e il viaggio di formazione. Un racconto che conquista, fatto di bellezze inaspettate come i dolci silenzi interrotti dal frenetico pizzicare di un liuto.

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Alessandro Cavaggioni

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia, amo il silenzio dopo una proiezione e la confusione di parole che esplode da lì a poche ore.
Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube e pagina instagram.

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