Valeria Bruni Tedeschi è Anna in Les Estivants. Una storia sul lutto amoroso, il dolore della mancanza e la follia della sopportazione. Presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, il film è diretto e scritto dall’attrice stessa, la quale promette un racconto sugli uomini e le donne che «scelgono deliberatamente di ignorare il frastuono del mondo esterno, il tempo che passa, la morte in agguato».
Una carriera nascosta
Non è questo il primo tentativo alla regia di Valeria Bruni Tedeschi, nonostante si fatichi spesso a ricordarlo tra i molteplici elogi alle sue indiscusse doti attoriali. Più di dieci anni fa ci fu infatti È più facile per un cammello, opera prima che le valse la candidatura al Premio Ceaser e ai David di Donatello. Premi che vincerà solo qualche anno dopo, seppur per la recitazione. Diresse poi Actrices, nel 2007, ed infine Un castello in Italia, non troppo tempo fa, nel 2013. Tre opere, a cui aggiungiamo ora questo Les Estivants, accomunate tra loro dall’apparente volontà di creare i contenitori artistici, o presunti tali, di una biografia dentro cui la Tedeschi torna con ossessione e amore.
Non sembrano infatti bastare all’attrice le numerose e spesso intriganti interpretazioni costruite e dirette da registi del calibro di Paolo Virzì, Roberto Andò o Claire Denis, e, come ogni artista, tenta di raccontare se stessa attraverso una filmografia intima e non priva di mordente. Anche se, con la presentazione fuori concorso del suo nuovo lungometraggio, risulta complesso non soffermarcisi sopra con qualche dubbio e riserva.
Dove le storie si toccano
Les Estivants è infatti il punto d’arrivo di una narrazione che nelle opere precedenti si era susseguita in maniera accennata e spezzettata, qui ora riunita e ricomposta; la ragazza ricca con dei disguidi con la sorella de Un castello in Italia incontra quindi la quarantenne con crisi esistenziali di Actrices, dando vita ad Anna, ricca protagonista de Les Estivants chiusasi nella splendida villa in Costa Azzurra, con l’intera famiglia, nel tentativo di (non) affrontare la rottura con il proprio compagno. Torna così la ricchezza e gli svaghi borghesi privi di soluzioni e cure per l’anima, la quale viene ancora una volta raccontata nella sua disperata follia.
Riesce bene alla Tedeschi il ruolo di esasperata protagonista, forse per l’abitudine alla parte, tanto simile a quelle precedentemente citate quanto vicina nel linguaggio alla splendida Beatrice de La pazza gioia di Virzì, o magari per la sua scrittura abbozzata e non sempre originale. Lì dove ci pensa lo stile a ideare interessanti modi di rappresentazione di questa solitudine invalicabile, arriva infatti la narrazione a rendere il tutto più flebile e meno omogeneo. Si fatica così a legare con personaggi dalla caratterizzazione macchiettistica, i quali interagiscono invece tra loro in un piacevole gioco di sordo mutismo che rende ognuno fantasma per l’altro.
Il divorzio imposto e non previsto di Anna, il vuoto lasciato dal fratello morto per Aids di cui la sorella (Valeria Golino) soffre ancora e la solitudine di una figlia che nonostante tutto sorride costantemente si definiscono in scena con una sincerità di cuore che lascia intravvedere, oltre il limite narrativo, le potenzialità di quest’intima autobiografia. Ma se indubbio è che giungerà un quinto lungometraggio ad approfondirne ancora le peculiarità, appare impossibile non chiedersi se, riconosciuti alcuni limiti registici, non resti più interessante scoprire il suo mondo attraverso il grande talento attoriale. Dopo tutto non bisogna essere registi per raccontarsi ed una vera attrice, titolo che calza senza eccessi a Valeria Bruni Tedeschi, si racconta in ogni storia. Anche se non diretta in prima persona.