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«La Quietud», l’amore e la sorellanza per Pablo Trapero

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2 minuti di lettura

Tornato a Venezia dopo il leone d’oro per El Clan (2015), Pablo Trapero presenta il suo La Quietud; film sull’universo femminile portato al limite e confuso nelle strane situazioni familiari di due sorelle tornate alla casa di famiglia a Buenos Aires.

La Quietud
Asac – La Biennale di Venezia

Un movimento di corpi nell’incredulità

Per quanto ricordare lo sviscerarsi di questa storia necessiti di un buona capacità di prendere appunti lungo la visione, il suo inizio, come è giusto che sia, risulta quanto mai canonico e semplice. Due sorelle e una madre, (rin)chiuse negli splendidi spazi de la Quietud, una tenuta il cui incanto permette di cogliere con maggior prontezza le tensioni scaturite tra le tre donne in scena. La capacità di Trapero non è però quella di far dialogare i contrasti che, a poco a poco, come le piccole luce della tenuta che continuano a spegnersi, si renderanno visibili allo spettatore, bensì quella di porre in attrito quanto mostrato, scaturendo dalla commedia il dramma, dalla tragedia il melò, sino a portare tutto ad un grande incendio. Dunque si osserva anche senza bisogno di ascoltare, lasciando allo spettatore la possibilità di godere un dramma familiare privo di peso e intinto nelle difficili dinamiche di un universo interamente femminile.

Sono le sorelle, Eugenia (Martina Gusman) e Mia (Bérénice Bejo), a guidare così il racconto sino al limite del credibile, muovendo corpi che Trapero segue come veri punti di riferimento di quello che appare un manifesto del cinema come imprevedibile, e spesso controversa, complessità.

La Quietud
Asac – La Biennale di Venezia

Seguire la sessualità

Tutto prende forma dalla famiglia, anche ciò che noi spettatori non possiamo vedere ma che comunque distende la propria ombra sull’ordito. È il caso del padre delle sorelle, colpito da un ictus e vera ragione di questa forzata riunione familiare. Torna così la malattia, quella visibile, come causa scatenante di ciò che invece è più nascosto, psicologico. Come Louis de È solo la fine del mondo di Xavier Dolan tornava a casa per annunciare la propria malattia, e venendo invece travolto dalle questioni irrisolte della famiglia; Così Eugenia torna a La Quietud per la malattia del padre, sedendo ad un tavolo in cui però non esiste il dramma inteso in un solo e lungo discorso iracondo, bensì celato, anche lì dove non ci si aspetterebbe. Ecco allora che c’è anche molta sessualità in questo racconto, presentata come vero centro di discussione e tracciato di una possibile verità. Ascoltare il corpo, e per noi vederlo, rivela così il dramma, anche se con soluzioni che per molti potranno essere ardite.

Non si fa dunque problemi Trapero a sostare sui tradimenti delle due sorelle -giocando incredibilmente sulla loro somiglianza fisica – e portandoci sino a vederle amoreggiare sul letto della loro infanzia. Il montaggio separa e unisce i loro corpi, mentre chiudendo gli occhi ed ansimando confondono così il prevedibile discorrere di una vicenda senza veli.

La Quietud
Asac – La Biennale di Venezia

Nel recinto de la Quietud

Ne Gli inseparabili di David Cronenberg, due gemelli omozigoti si scambiano in comune accordo avventure sessuali con le rispettive partner. Essi, fatta eccezione per poche caratteristiche, sono quasi totalmente irriconoscibili, ed è su questo che giocano la loro vita. Eugenia e Mia, invece, in La Quietud, seppur non gemelle, appaiono uguali loro malgrado, unite in una morfopsicologia che gioca non solo con loro, ma soprattutto con noi. Proprio seguendo la poetica del mostrare senza proferir parola o spiegazioni Trapero ingarbuglia infatti la matassa familiare rinchiusa nel recinto de la Quietud, scaturendo la risata per quella che a tratti potrebbe essere un’ottima commedia di equivoci e che, per fortuna, è invece una incredibile (spesso in senso letterale) pellicola sulle vie non convenzionali dell’amore e della sorellanza

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Alessandro Cavaggioni

Appassionato di storie e parole. Amo il Cinema, da solo e in compagnia, amo il silenzio dopo una proiezione e la confusione di parole che esplode da lì a poche ore.
Un paio d'anni fa ho plasmato un altro me, "Il Paroliere matto". Una realtà di Caos in cui mi tuffo ogni qual volta io voglia esprimere qualcosa, sempre con più domande che risposte. Uno pseudonimo divenuto anche canale YouTube e pagina instagram.

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