Ogni tanto appunto lo sguardo su di lei, ma senza scendere più giù del collo, perché tutta quella distesa di carne mi fa una tristezza. Se ne sta accartocciata, col visetto beato, come se fossi suo fratello e mica il ragazzo che poco prima si è dovuto scusare di una cosa che giuro non mi è mai successa (in realtà mi accade sempre più spesso, se conto anche questa siamo a tre forse tre e mezzo, perché c’è stata quella volta con Agata che sono andato tutto sommato spedito per dieci minuti poi patatrac, mezz’ora abbondante di silenzio); forse quel vinsanto del pranzo o i bucatini all’amatriciana, o chissà quale altra schifezza sedimentata dopo la rottura con Claudia. L’idea di guardare insieme Annie Hall mi è venuta un po’ perché non posso darle di meglio un po’ perché risponde a un capriccio; adesso Woody Allen tartaglia e la ragazza sembra gradire, ma vai a sapere cosa le passa per la testa; probabilmente aspetta che spiova per ficcarsi nel completino scolastico e filarsela. Con la punta dei polpastrelli le sfioro un’areola bruna ma niente, sempre lo stesso niente e mi chiedo a bassa voce cosa non va.
“Come dici?”
“Niente…”
“Mi era sembrato avessi detto qualcosa.”
La pioggia si accanisce sull’alluminio e per afferrare le Merit le devo chiedere scusa ancora una volta. Il fumo rende impotenti; curvo a bordo letto compito a mente la lapidaria scritta e mi dico stai a vedere che se smettessi…
“Come dici?”
“Vuoi una sigaretta?”
Le passo la mia già accesa, e forse anche in questo cerco una complicità; d’altronde non posso mica mostrarle l’omino raggomitolato sul pacchetto, ho troppa paura che le scappi da ridere, e che quello che a lei ho spacciato per caso stanotte assurga a destino.
Io allora ero stato dal medico, quando dopo Claudia il problema era diventato evidente, e il medico aveva sdrammatizzato dicendo che si trattava di un blocco e che a vent’anni capita; forse basterebbe che mi sciogliessi, se come gli avevo spiegato con le ragazze a conti fatti mi viene la sciolta e come si spogliano il primo istinto è di spegnere la luce, che loro vogliono accesa perché vogliono vedere con chi fanno l’amore. Forse, se mettessi prima il preservativo il sangue affluirebbe. Ma poi quando la osservo meglio la ragazza ha il seno destro un po’ strabico o qualche peletto sottile e immediatamente faccio raffronto coi seni e coi peletti di Claudia.
Ci manca poco che il battente mi sfondi il vetro, e mentre guadagno la finestra per fissarlo mi sento addosso gli occhi della ragazza.
“Non lo vuoi più vedere il film?”
Spengo la sigaretta sul cornicione, dopodiché riassumiamo la posizione per me scomodissima – Allen se la batte con l’aragosta e fa la parodia del disgusto davanti alla Keaton. La ragazza non sembra gradire giacché poco dopo mi chiede ma veramente ti piace questa roba? E a questo punto vorrei solo che se ne andasse, la guardo e mi pento della gentilezza posticcia che probabilmente se mi fosse riuscito di amarla non avrei riciclato.
Con Claudia, dapprima avevo provato a giustificarmi, a dirle che ero infelice. Ma aveva voluto sapere se dipendesse da lei, che forse la trovavo brutta, e io ancora a sperticarmi che la amavo e che la trovavo attraente, ma da cosa dipendesse la scarsa affluenza di entusiasmo non lo sapevo e lei no, non è che non lo sai, semmai non me lo vuoi dire perché non mi ami più, semplice; ma quale semplice? Se quando mi affaccio ho una voglia come di buttarmi, e pure quando ti bacio sento quel sapore di cenere che ti assicuro dipendesse da me ne farei a meno, proprio perché ti amo e non ho mai amato e mai amerò, e se ancora non so dirti perché adesso momentaneamente mi trovo infelice comunque ne verremo a capo. Intanto con quella tanto infelice non eri, hai pure avuto il coraggio di portarla a casa, che schifo, nel letto dove dormiamo che schifo che schifo!
Poi sono rimasto zitto a guardarmi le unghie dei piedi, e Claudia ha aperto l’armadio e tirato giù tutto. Ha strappato il poster del ponte di Brooklyn, appeso quando avevamo deciso di vivere insieme, e io non provavo nemmeno a scusarmi, perché veramente mi sentivo ammalato e in qualche misura innocente. Quando si è accasciata per terra avrei voluto dirle che esagerava, che stava facendo tanta scena per quella che in fondo era una malattia. Claudia ha preso la porta e l’ho seguita per mezzo piano di scale.
Penso: mi hanno svaligiato, quando tre giorni dopo l’appartamento è desolato e lungo il corridoio raccolgo brandelli di ponte di Brooklyn come seguendo le molliche di un pollicino furioso; dopodiché mi fermo, mi dico stai a vedere che la trovo sul letto? e quando mi decido ad entrare nella stanza ci trovo soltanto il suo mazzo di chiavi. Due mesi dopo invito a casa una ragazza. La ragazza è bella e dopo i bacetti di rito mi slaccia e comincia a aspirare e a stuzzicarmi il buchino. Io fisso il rettangolo scuro dove prima passava il ponte di Brooklyn e adesso svolazzano moscerini della polvere che ad aprile in casa nostra sono così frequenti, e magari non è nemmeno questo rimestare il poster mancante quanto piuttosto un senso come di straniamento che mi occlude il torace, la ragazza deglutisce si scosta mi interroga e non so che dirle, sto quasi per intimarle di andarsene ma provo a baciarla e sento cenere e penso oddio, che non guarirò mai, e che Claudia con quel sapore non c’entrava niente. Poi la ragazza mi assesta uno schiaffo, mi chiarisce quello che sono e che forse anche prima dello schiaffo sapevo di essere. Dopodiché se ne va.
Abbiamo lasciato il film a metà. La seguo affacciato mentre attraversa la strada crivellata di pioggia con l’ombrello di Claudia che le ho prestato a fondo perduto. Prima ho provato a baciarla, e mi ha respinto con un sorriso che magari non voleva essere ma a me è parso proprio una cosa di compatimento. Resto affacciato, con la Merit che raspa, finché un gocciolone la spegne mentre i fari della Renault lampeggiano e chiudendo l’ombrello mi pare che la ragazza sorrida nella mia direzione, ma la pioggia è davvero fitta e non ne sono sicuro.
In bagno mastico dentifricio per cacciare il sapore e con tutte le finestre di casa ho preso misure cautelative. Sento però un rimescolio improvviso e cerco in cucina tagliere coltello e guanciale. Affetto nervoso e per sbaglio incido l’unghia e l’indice in bocca è salato del guanciale e dolce del sangue. Succhio il dito offeso e mi pare che il sapore solito sia un poco scemato – adesso sento un teporino piacevole, serro il pugno sul manico e ho giusto il tempo di pensare che io Annie Hall non lo vedrò mai più con nessuna, perché l’ho visto con Claudia un pomeriggio piovoso e a un certo punto avevamo messo in pausa per fare l’amore.
Francesco Mila